Nannies

'Nanny State' è un termine di origine britannica che indica uno Stato le cui politiche sono iperprotettive e interferiscono eccessivamente nelle scelte personali del singolo individuo, come una tata che educa dei bambini un po’ troppo cresciuti. In buona parte del mondo stiamo assistendo a una tendenza preoccupante, con il susseguirsi di leggi, regolamenti, sentenze, che vogliono far passare un chiaro messaggio: “politici e burocrati sanno meglio di te come vivere la tua vita, come gestire la tua salute, come crescere i tuoi figli”.

Il paternalismo, inteso nel suo significato storico, è una maniera di governare in cui tutti i provvedimenti in favore del popolo sono affidati alla comprensione e alla buona volontà di chi lo governa. È un termine in voga nel linguaggio storiografico e politico del Settecento e dell'Ottocento: paternalistiche furono chiamate, infatti, le direttive dei sovrani illuminati di questi due secoli. Il paternalismo era, già allora, in evidente contrasto con i principi della democrazia e del liberalismo.

La teoria dello "Stato etico", di cui Hobbes fu precursore e poi portata in auge da Fichte e Hegel, fu protagonista nel Novecento: in antitesi con la teoria liberale dello Stato di diritto, fu uno dei fondamenti dei totalitarismi novecenteschi. Oggi, nel 2016, pur vivendo in Stati democratici, dobbiamo prestare attenzioni alle decisioni di politici e legislatori, per non rivivere quelle situazioni di annullamento delle libertà degli individui millantate come volontà di individuare un ‘bene comune e collettivo’.

Fu John Locke, uno dei padri del moderno liberalismo, a contraddire per primo la tesi assolutistica ed eticamente totalizzante del Leviatano hobbesiano. Nei “Due trattati sul governo” (1690) Locke sostiene che il potere non possa concentrarsi nelle mani di un’unica autorità, né tantomeno essere irrevocabile, assoluto e indivisibile. Gli uomini, inoltre, non cedono al corpo politico ‘tutti’ i loro diritti, ma solo quello di ricevere giustizia; lo Stato è tenuto a rispettare i diritti naturali e inalienabili degli individui – “la vita, la libertà, i beni” – altrimenti violerebbe il ‘contratto sociale’ sul quale si basa la relazione individuo-Stato e in virtù del quale è stato costituito lo Stato stesso.

Nato dal medesimo principio contrattualista che muove la riflessione di Hobbes, lo Stato di Locke non può dirsi né etico, né assoluto. Data la natura del contratto nella concezione di Locke – un atto di libertà (e non di sottomissione) dei cittadini – costoro conservano il diritto di ribellarsi allo Stato, quando questo diventa tirannico e trascende i limiti che gli sono stati fissati al momento della fondazione. In sostanza, lo Stato liberale ha solo il compito di tutelare i diritti naturali inalienabili propri di tutti gli uomini e non mira, in alcun modo, a dettare delle regole morali agli individui.

Realizzare il massimo grado di giustizia in un quadro di libertà è l’obiettivo etico liberale più elevato e tutto ciò si può concretizzare solo all’interno di una società aperta, avversa ad ogni forma di totalitarismo e di abuso di potere, ad ogni pretesa di perfezione morale e di inquadramento collettivo. Citando Mill (1859): “Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve rendere conto alla società è quello riguardante gli altri: per l’aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo l’individuo è sovrano”.

Con questo spirito l’etica liberale nella società contemporanea si propone non solo come strumento di evoluzione della libertà ma può rappresentare un reale fattore di dinamicità sociale, di crescita civile e politica, di sviluppo delle differenze individuali. Una civiltà liberale si fonda sul rispetto della prerogativa dell’individuo di poter vivere moralmente libero e sull’esigenza che vi sia, come sottolinea Mill, “nell’esistenza umana una roccaforte sacra, sottratta all’intrusione di qualsiasi autorità”.

Se vogliamo tracciare una storia del paternalismo in Italia, le prime tracce della legislazione sociale risalgono all’agosto del 1862, e precisamente alla legge Rattazzi sull’amministrazione delle opere pie e degli enti caritatevoli. A conferma di questo nuovo regime di controllo statale sull’apparato economico-finanziario e sull’attività amministrativa delle opere, esse venivano espressamente poste sotto "la tutela della rispettiva Deputazione provinciale". Nei due decenni aurei del mutualismo italiano, gli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento, una parte della classe dirigente inizia a coltivare l’idea di disciplinarne legislativamente le attività con un obiettivo: governare in senso pubblico – com’era avvenuto per gli istituti di beneficenza – una rete di protezione sociale, il germe dello Stato assicuratore. La vicenda della legislazione sociale postunitaria avanza, dunque, negli anni ’70, affiancando al tema della beneficenza quello dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, e poi della previdenza.

Da allora il ruolo dello Stato nell’economia e nelle vite delle persone è andato sempre crescendo. Oggi esistono diversi indicatori elaborati per misurare il livello di intrusione politica nella vita dei cittadini. A questo proposito analizziamo il Nanny State Index 2016, elaborato dallo “European Policy Information Center” (EPICENTER), il quale prende in considerazione i settori del cibo, alcol e tabacco. Come mostra il grafico sottostante, non c’è correlazione tra la regolamentazione statale e l’aspettativa di vita.

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Analizzando i dati più nello specifico scopriamo anche che non c’è correlazione tra una maggiore regolamentazione dell’alcol e un suo minore consumo.

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Così come non esiste una correlazione tra policy anti-fumo e tassi di consumo di tabacco inferiori.

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L’Italia occupa nell’Indice la dodicesima posizione tra i 28 Paesi membri dell’Unione Europea, posizionandosi al confine tra il gruppo dei Paesi cosiddetti “liberi” e “meno liberi”. Per quanto riguarda la regolamentazione sull’alcol, quella italiana non è troppo rigida, ma paga il fio di un’eccessiva tassazione e di una generale demonizzazione mediatica e normativa (basti pensare al fatto che aziende produttrici di liquori non possano sponsorizzare determinati eventi). Per quanto riguarda il cibo, dal 2014, alimenti e bevande ad alto contenuto di zuccheri, grassi e caffeina sono proibiti nei distributori automatici all’interno delle scuole.

Tuttavia, è il tabacco quello che i governi italiani hanno regolamentato di più nel corso degli anni, influendo negativamente sulla libertà individuale. Dal 2005, in Italia vige un divieto quasi totale di fumare nei luoghi pubblici, che, nel 2015, è stato esteso ai veicoli se tra i passeggeri ci sono donne incinte o bambini. Fumare è vietato anche in alcuni parchi. L'Italia non ha un divieto di esposizione per la vendita al dettaglio del tabacco, ma sono state da pochissimo introdotte avvertenze grafiche, che vanno ad aggiungersi alle frasi “intimidatorie” precedentemente introdotte. Le sigarette elettroniche sono legali e possono essere utilizzate al chiuso con poche restrizioni, ma l'Italia è uno dei pochi paesi ad avere una tassa specifica su di esse, a un tasso punitivo del 58,5% più IVA.

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Quando lo Stato prova a dirci cosa dovremmo consumare o fare, non si pone limiti. Ma questi tentativi paternalistici non funzionano: l’unico obiettivo che raggiungono è quello di complicare la vita dei cittadini e di considerarli alla stregua di bambini che necessitano di essere educati, incapaci come sono di gestire la propria vita e di prendere le decisioni che ritengono più adeguate. Gli individui, invece, sono generalmente in grado prendere le decisioni che ritengono più adeguate alle loro vite, non hanno bisogno di una tata. Che si tratti di videogame, alcol, sesso, gioco d’azzardo, cibo, i governi pensano di saperne di più. Ma i singoli non necessitano di uno Stato che viva le loro vite e stabilisca quale attività è giusta e quale no.

Legalizziamo la libera scelta. Quando lo Stato proibisce ai supermercati di vendere alcol in certi orari, ci sta portando via una nostra scelta individuale e sta portando per strada maggiori pericoli di quelli che vuole prevenire.

Le leggi che dicono a negozi, uffici, esercizi commerciali quanto tenere aperto saranno anche ben intenzionate, ma procurano più danni che benefici. Un articolo del Journal of Health Economics ha analizzato la liberalizzazione degli orari di chiusura dei pub in Inghilterra e in Galles nel 2005 e ha scoperto che lasciare i bar aperti fino a tarda ora ha fatto diminuire significativamente (-32.5%) gli incidenti automobilistici. Invece di essere costretto a mettersi per strada in piena notte perché lo Stato ha imposto un orario di chiusura, infatti, chi ha bevuto può riprendersi in tempo e tornarsene a casa responsabilmente una volta pronto.

Con un sempre più crescente interventismo del governo, l’offerta si restringe e si formano cartelli per proteggere i profitti e allontanare la concorrenza. È anche colpa dei governi se il traffico di stupefacenti è illegale, in mano alla criminalità organizzata. Che cosa succederà se un giorno saranno proibiti prodotti ordinari come cioccolato o burro? Questo!

C’è un pericolo in ogni aspetto della vita. Immaginate se il governo obbligasse ad apporre frasi come quelle sui pacchetti delle sigarette su ogni oggetto che è commerciato. Vi piace questa prospettiva? Andate in Corea del Nord che attua il Plain Packaging dal 1948. E ricordiamoci che quando lo Stato decide cosa è più salutare, spesso si sbaglia, e crea un precedente che ha potenzialità negative illimitate.

No allo Stato etico e paternalistico. Liberi di scegliere la nostra vita. #NoNannyState.