Renzi PD

Scegliere cosa votare al prossimo referendum costituzionale è faccenda estremamente incresciosa, non solo per la complessità e l’articolazione delle modifiche istituzionali proposte, ma soprattutto per le molteplici valenze che questa consultazione ha assunto. Chissenefrega delle valenze? Perché non attenersi alla lettera del quesito su cui si vota e lasciar perdere il resto?

Ad esempio perché la vittoria del no non confermerebbe lo status quo, ma comporterebbe un ritorno al proporzionale (lo spiega su nfa Sandro Brusco). Allora non bisogna solo valutare la riforma in astratto, ma anche ponderare le alternative disponibili in concreto. Se non fosse già abbastanza complicato, va tenuto presente che un esito negativo del referendum, stando agli analisti di Moodys, potrebbe infliggere il colpo di grazia ad almeno 4 degli istituti di credito più disastrati del nostro paese, proprio quando si trovano a dover ricorrere al mercato per ricapitalizzarsi.

Alla fine quante facce ha questo referendum? Senza pretesa di essere esaustivo, direi che ci viene chiesto di scegliere se:

1. Modificare la costituzione (e scusate se è poco) in modo non trascurabile;

2. Promuovere o bocciare il governo Renzi;

3. Promuovere o bocciare la legge elettorale Italicum, non direttamente in discussione nel referendum ma parte fondamentale del disegno istituzionale sottostante la consultazione;

4. Alimentare o stroncare sul nascere l’idea che nel nostro paese qualcosa possa cambiare, che però ha due declinazioni: a) La riforma proposta è il meno peggio - che è meglio di niente - ergo votare Sì è riformista, perché se vince il No nessuno avrà incentivo a investire sulle riforme, in quanto troppo politicamente rischioso. b) La riforma proposta non è il meno peggio, meglio niente - ergo votare No è riformista, e, se vince il Sì, fatta una brutta riforma non se ne faranno altre (argomento debole IMVHO);

5. Validare o meno l’idea che sia opportuno, decente, cambiare profondamente la costituzione senza un’assemblea costituente o un percorso legislativo rinforzato e in ogni caso con un consenso popolare relativamente minoritario;

6. Atteso che il Porcellum è stato bocciato dalla corte costituzionale, in mancanza di altre modifiche, tornare al proporzionale per una camera mentre l’altra verrà eletta col maggioritario (salvo ulteriori modifiche);

7. Dare all’estero, e soprattutto a chi opera sui mercati finanziari, un segnale positivo o negativo sulla volontà/capacità del paese di affrontare un qualche percorso riformista.

Insomma, un quadro un po' troppo articolato per un semplice sì o no. Un modo per affrontare questa tipologia di problemi consiste nell'attribuire a ciascuna componente un peso che ne rappresenti l’importanza/priorità e in seguito un punteggio di merito specifico. Si tratta ovviamente di un meccanismo arbitrario che ha un’elevata probabilità di giustificare ex post quel che la pancia (o il cuore se lo trovate più poetico) ha deciso ex ante. Però lo sforzo di attribuire pesi e punteggi, se fatto con onestà, può aiutare a chiarirsi le idee.

Riporto la mia personale griglia di preferenze a cui segue qualche commento esplicativo.

#

Sotto problema

Peso %

Si 

No

Si ponderato

No Ponderato

1

Modifica alla costituzione

10%

50

50

5

5

2

Voto al Governo Renzi

15%

50

50

7,5

7,5

3

Voto all'Italicum

15%

10

90

1,5

13,5

4

Segnale Riformista Interno

10%

80

20

8

2

5

Consenso Insufficiente

20%

0

100

0

20

6

Ritorno al proporzionale

10%

100

0

10

0

7

Segnale Estero e Mercati

20%

100

0

20

0

             
 

Totale

100%

390

310

52

48

 

Quello che fa principalmente pendere la bilancia è il punto 7, e comprendo che a qualcuno possa far storcere il naso l’idea di prendere decisioni sulla nostra costituzione basandosi su quel che può sembrare a chi la guarda da fuori. Tuttavia, per sintetizzare la mia sempre molto modesta opinione, tutto il resto avrà conseguenze pratiche abbastanza ridotte: la riforma non può sanare la frammentazione endemica al nostro tessuto socio politico, come non può risolvere inesistenti problemi di navetta parlamentare, mentre il futuro di Matteo Renzi, allo stato, appare più legato alla radicale assenza di alternative (che la minoranza PD di tanto in tanto si prende il lusso di ignorare), che non ad una scommessa da gradasso, che può sempre far in tempo a rimangiarsi.

Le necessità di rafforzamento del nostro sistema bancario sono invece tragicamente tangibili e urgenti, dalle grandi realtà sistemiche come Unicredit, che al netto delle dismissioni di Pekao e Fineco potrebbe aver bisogno di 10 miliardi, alle necessità più contenute di realtà come UBI, che in vista dell’acquisizione di 3 delle (not so) “good bank” ne dovrà raccogliere 3 o 400. Il tutto per tacere del convitato di pietra di ogni discussione su questi temi che è ovviamente il Monte Dei Paschi di Siena. Ma vediamo brevemente qualche commento all’attribuzione di pesi e punteggi.

Al punto 1 la riforma in sé, sempre a mio molto modesto avviso, merita ben poco entusiasmo: il senato avrebbero voluto abolirlo, ma non si poteva, ed è venuta fuori quella cosa strana che lascia perplessi; quantomeno non dispiace che ci sia un numero minore di persone che vivono immeritatamente delle nostre tasse (sì, è un po' una caduta populista, non c’è alcuna logica a sostegno del fatto che ridurre i parlamentari sia positivo, ma non avendo speranze di cambiare la coscienza delle persone per eleggere parlamentari degni, va bene ridurre il numero dei pessimi politicanti che attualmente manteniamo a Roma).

Il ritiro di quell’aberrazione fintofederalista delle modifiche al titolo V mi pare cosa relativamente positiva: un paese disomogeneo come il nostro avrebbe bisogno di una rivoluzione federalista, ma, in attesa della riforma ideale, meglio fare marcia indietro sulla nefasta moltiplicazione dei centri di spesa clientelare e sull’abominio delle competenze concorrenti. Tutto il resto è scarsamente rilevante - per quanto qualche soddisfazione possa venire dall’abolizione del CNEL. Dunque in assoluto una riforma che rasenta la sufficienza andrebbe rigettata, non ce l’ha prescritto il medico di mettere mano alla costituzione. Sulla decisione finale, tuttavia, pesano considerazioni di tipo relativo inerenti il contesto in cui i modesti cambiamenti proposti andranno a insistere.

Al punto 2, con peso 15%, direi che, volendo dare un voto al governo Renzi, le iniziative positive (jobs act e unioni civili, e per i tecnici le riforme sul recupero crediti) sono approssimativamente pareggiate dai demeriti (la spending review è rimasta nel cassetto, degli 80€ per ogni stagione meglio tacere come pure dell’anticipo pensionistico). Questo, però, vale sempre come giudizio in assoluto, poiché in termini relativi Renzi mi pare meglio di qualunque alternativa presente e, sostanzialmente meglio delle principali esperienze degli ultimi anni (qualcuno ricorda Berlusconi?).

Il punto 3 è ben rappresentato da questo articolo di NFA: 90 punti al No e peso al 10%. Al punto 4 lascia pochi dubbi una domanda sul fatto che sia o meno desiderabile il cambiamento: siamo il paese dove non solo gli anziani prendono pensioni superiori ai contributi versati, ma prestiamo loro anche i soldi per ritirarsi prima (rectius, non li prestiamo, però ne garantiamo il finanziamento, talvolta socializzandone i costi). A meno di modifiche folli o leggi ad personam, se il cambio non è radicalmente in peggio (cfr punto 1) meglio cambiare.

Al punto 5 va considerato che in un paese civile non si dovrebbe mettere mano alla costituzione senza un percorso più robusto rispetto a quello con il quale si emanano le leggi ordinarie, e se la modifica è molto radicale ci vorrebbe qualcosa tipo un’assemblea costituente. Renzi su che base vuol riformare la legge fondamentale dello stato? Se non fosse per le circostanze da emergenza permanente che ne fanno il salvatore della patria e l'unica alternativa possibile, non è chiaro neanche se avrebbe la maggioranza nel PD. Dicevamo, in un paese civile. Ma l’Italia è un posto così particolare che la pirateria in termini di consenso con la quale Renzi vuol fare le riforme può persino ispirare simpatia: Pertini diceva a brigante, brigante e mezzo. Renzi è quel brigante e mezzo che si meritano i Gattopardi dello status quo tipo D'Alema. Peso 20% a questa voce.

Ancora semplice il punto 6, se vince il No si torna al proporzionale: non scherziamo, peso 10% e 100 punti al sì. Intendiamoci, non che il proporzionale sia la causa di tutti i mali e men che meno della frammentazione politica del paese. Semplicemente mi pare che offra una maggiore stabilità relativa un sistema maggioritario (che poi la frammentazione si riproponga dentro i partiti maggiori è altra questione, come pure capitolo a parte è l’enorme premio di maggioranza dell’italicum).

Considerazioni finali sul punto 7, che mi fa propendere per votare sì a una riforma che meriterebbe un no. Il percorso di declino su cui è avviato il nostro paese appare difficilmente reversibile, quanto meno nel breve periodo, poiché tutti i correttivi che potrebbero incidere sulla tendenza di fondo (ricalcolo contributivo delle pensioni, riduzione del perimetro dello stato, federalismo) hanno un costo in termini di consenso tale da risultare politicamente inattuabili. Il decorso della malattia (ad oggi apparentemente incurabile) può avere diverse velocità: un esito negativo del referendum ha buone probabilità di conferire una brusca accelerazione con costi sociali ed economici tangibili e immediati.

È una scelta che può essere discutibile: in sostanza sto dicendo che preferisco continuare a fingere di vedere i vestiti nuovi dell’imperatore perché trovo troppo costoso nell’immediato ammettere che sia nudo. Non credo che ci sia in atto nessun radicale processo di riforma, ma finché istituzioni e mercati fan finta di crederci, visto che stiamo sperimentando una transizione tutto sommato morbida, non mi pare il caso di accelerarne il corso.

Credo quindi che votare Sì per sostenere il racconto che il paese sta andando nella giusta direzione di cambiamento, anche se è un racconto vero solo in parte, sia ragionevolmente preferibile a votare No segnalando di voler resistere a qualunque cambiamento, o peggio, imboccare la direzione sbagliata.