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13.000 migranti sbarcati sulle nostre coste in soli quattro giorni alla fine di agosto, altre migliaia a partire dal 1 settembre. And we keep counting. Chiunque pensi che sia possibile per l'Italia - con tutte le sue debolezze strutturali - gestire questo problema da sola, è un illuso, o vuole regalare qualche altro milione di voti alla Lega, che però gestirebbe il problema molto, ma molto peggio.

Due anni fa, un gruppo di cittadini europei da Italia, Francia, Belgio, Austria, Germania e Grecia ebbe l'idea di lanciare una ICE (Iniziativa Cittadini Europei), cioè una sorta di referendum propositivo paneuropeo, diretto alla Commissione. Esso che chiedeva quattro cose:

1. Creazione di una forza di polizia di frontiera europea, perché è ingiusto che siano gli Stati ai confini meridionali ed orientali della UE a farsi carico da soli del controllo e della gestione di frontiere comuni.

2. Modifica Regolamento di Dublino e in particolare del requisito che ad occuparsi delle domande d'asilo debba essere il paese di primo ingresso.

3. Creazione di un sistema di ripartizione obbligatoria tra paesi membri UE per i rifugiati.

4. Creazione di canali legali per i cosiddetti migranti economici.

Dopo aver testato la campagna attraverso una raccolta di firme online in tutta Europa, che andò molto bene, l'idea di lanciare una ICE fallì per due motivi. Il primo motivo era molto pratico e di carattere economico: sono richieste un milione di firme da 7 paesi ed il costo medio per una ICE di successo è di circa 300,000 EUR che il comitato non riuscì a raccogliere. Il secondo motivo è che la Commissione fece sue alcune proposte inserendole in un "pacchetto" presentato al Consiglio e al Parlamento Europeo. Il pacchetto proponeva appunto la creazione di una guardia di frontiera e costiera europea attraverso il rafforzamento di Frontex, un piano di ricollocamento inizialmente per 160,000 migranti che si trovavano già in Grecia e Italia e, infine, una riforma legislativa per giungere all'elaborazione di procedure simili per il riconoscimento del diritto d’asilo a livello europeo. Nell'aprile di quest'anno, poi, il governo italiano ha presentato il Migration Compact, un ottimo piano che, oltre a misure da adottare nell’immediato in linea con quanto già proposto dalla Commissione, prevede soprattutto misure nel lungo termine per cercare di alleviare la pressione migratoria dall’Africa con interventi di sostegno allo sviluppo locale, chiedendo in cambio collaborazione nel controllo delle proprie frontiere.

Sebbene la Guardia di Frontiera Europea immaginata dalla Commissione non sostituisca (come i promotori della ICE avrebbero voluto), ma si sovrapponga a quelle nazionali, intervenendo solo in situazioni di crisi e sebbene non venga toccata ancora l’odiosa regola del paese di primo ingresso per l'esame delle domande d'asilo, si tratta comunque di passi avanti frutto anche di battaglie politiche fatte da vari leader europei, tra cui Guy Verhofstadt e Jean Claude Juncker.

Guardando la situazione odierna, è triste notare come la realizzazione di questo pacchetto si sia arenata, e sia minacciata da tendenze retrograde come quella dell’Ungheria e di vari Stati membri dell’Est che rifiutano la propria quota di migranti ("perché la volontà popolare è contraria" dicono), della Francia che ha di fatto sospeso Schengen oppure della Gran Bretagna che annuncia la costruzione di un muro a Calais.

Che fare? Anzitutto, bisogna cominciare a distinguere chiaramente tra chi ha diritto all'asilo politico o ad altre forme di protezione e chi non lo ha. Le percentuali dell'una o l'altra categoria variano. I siriani, gli afgani e gli iracheni accolti in Germania probabilmente hanno nella stragrande maggioranza diritto ad ottenere protezione internazionale; la stessa cosa non può dirsi per tutti i migranti dall'Africa sub-sahariana, per esempio. La proposta di ICE teneva già conto di questo problema e cioè del fatto che una buona parte di coloro che tentano la rotta mediterranea semplicemente fugge da situazioni di miseria più che di persecuzione o di guerra, o comunque tenta la fortuna per trovare un lavoro inesistente nel proprio paese. Creare canali legali per chi vuole raggiungere l'Europa per lavorare significa per esempio decidere ogni anno il numero di visti che possono essere rilasciati per ingresso a fini lavorativi nel territolrio UE. Cercare di rientrare nelle quote annuali offrirebbe a chi vuole tentare la fortuna un'alternativa ad imbarcarsi in viaggi pericolosi su cui lucrano i trafficanti. Purtroppo, però, dei cosiddetti "migranti economici" la UE finora si è occupata solo marginalmente, in quanto l'istituzione della Blue Card anche nella sua versione più recente risponde solo alle esigenze di una esigua minoranza di extra-comunitari.

Secondo, bisogna pretendere in sede UE che le decisioni già prese in termini di ricollocamento dei 160,000 migranti vengano rispettate, puntando i piedi se necessario e minacciando il veto su altre questioni importanti per i paesi membri che fanno più resistenza. Infine, ed è un last but not least, il sistema dei rimpatri deve essere fatto funzionare, con costi condivisi da tutti i paesi UE. In un mondo ideale, ci dovrebbero essere (a) meccanismi di condivisione tra tutti i paesi membri UE dell'accoglienza per chi ha diritto a forme di protezione umanitaria (b) quote annuali per immigrati in cerca di lavoro (c) rimpatri effettivi per chi non ricade né nella prima né nella seconda categoria.

Solo così Salvini, Pegida, Le Pen e Hofer torneranno ad essere incubi lontani.