putin parata

Sergey Karaganov, preside della facoltà di economia e affari internazionali a Mosca e consigliere di Vladimir Putin per la difesa e la politica estera, ha rilasciato una intervista a Der Spiegel, pubblicata il 9 luglio 2016, che nella sua genuinità è - a nostro avviso - indispensabile per comprendere da un lato la paranoia che si agita nei cuori di chi oggi detiene la leadership della Federazione Russa (e di chi lo consiglia), e dall'altro il pericolo che questa paranoia può creare nel futuro dell'Europa e del Pianeta.

L'intervista è anche esemplare di un giornalismo che non si genuflette all'interlocutore ma lo colpisce e lo pungola - a parole - pur concedendogli d'esprimere il suo pensiero. Reso l'onore che gli spetta al giornalista dello Spiegel Christian Neef, procediamo a leggere le affermazioni di Karaganov. 

Nei toni e nelle parole del professore prestato agli affari esteri si nota innanzitutto una dichiarazione di continuità tra la storia sovietica e quella russa. In altri termini, l'elaborazione psicologica che avviene di solito quando - in un Paese determinato - si effettua una transizione da un regime negativo ad uno positivo, manca totalmente in Karaganov (e, ben sappiamo, in Putin). Il professore, nel giudicare l'attuale situazione circa i rapporti con la Nato e i Paesi baltici, utilizza il paragone con gli anni '80. "La Nato - afferma - è ora 800 km più vicina al confine russo, le armi sono completamente diverse, la stabilità in Europa è mutevole. Tutto è molto peggio di 30 o 40 anni fa". Come se la fine della Guerra Fredda fosse una variabile assolutamente ininfluente.

Commetteremmo però un errore di sottovalutazione nel concludere che la Russia si sente semplicemente in continuità con l'Unione Sovietica. Ad un livello più profondo, la Russia si sente in continuità con sé stessa, dallo zar al presidente, e l'Urss è considerata una fase di non discontinuità (chissà cosa penserebbe Lenin di questa visione). "Vogliamo lo status di grande potenza. Sfortunatamente non possiamo rinunciarvi. Negli ultimi 300 anni questo è diventato parte del nostro bagaglio genetico", spiega Karaganov.

Una potenza, per essere tale, deve avere una sua zona d'influenza. E' quindi indispensabile comprendere quale sia l'obiettivo russo in tal senso. Sbaglierebbe chi pensasse solo ai Paesi dell'ex Unione sovietica. Putin non s'accontenta di così poco. Le unioni commerciali con la Bielorussia, il Kazakhstan, l'Armenia e il Kirghikistan, così come la guerra ibrida condotta in Ucraina dell'Est, sono una piccola parte del progetto che ha in mente Mosca. "Vogliamo essere il cuore di una più grande Eurasia, una regione di pace e cooperazione. Il subcontinente dell'Europa sarà a sua volta compreso in questa Eurasia", argomenta Karaganov nell'intervista.

Concludiamo le citazioni del professore con quella che suona come una velata minaccia rivolta direttamente agli europei: "Dovreste sapere che noi siamo più intelligenti, più forti e più determinati".

L'intervista, dal momento che è stata concessa da uno dei più influenti consiglieri di Putin, è indispensabile per comprendere gli obiettivi di lungo termine del Cremlino: uno Stato che considera, per sé stesso, un "diritto" alla potenza, in perfetta coerenza con la mentalità che, in politica internazionale, prevaleva fino alla Grande Guerra, fin quando cioè era la forza delle armi a determinare i rapporti politico-economici tra gli Stati. La comunità internazionale, almeno formalmente, ha abbandonato questa mentalità quando è stato chiaro che, con l'avvento di una tecnologia prima impensabile, le guerre si sono trasformate in carneficine; e, inoltre, si sono affacciate ideologie di sterminio che, prima, erano sconosciute. E' fin troppo riconoscibile il fischio del vento di una guerra fredda 2.0.

Per Mosca, noi europei siamo "subcontinentali": non siamo, cioè, un unicum dotato di un patrimonio storico-culturale e politico originale, da rispettare in quanto tale. Siamo terra di confine, un po' come se "Finistère", il nome suggestivo con cui i francesi hanno chiamato il loro dipartimento più occidentale, s'applicasse a tutti noi, da Lisbona a Kyiv; nella visione che emerge dalle parole di Karaganov, la piazza Rossa è predestinata a diventare, se non caput mundi, almeno dominante in un territorio ben più vasto di quello su cui esercitava influenza l'Urss. Ed altro che "pace e cooperazione", considerando lo sprezzo con cui considera noi "subcontinentali" Karaganov, pronto ad applicare categorie non scientifiche e non sociologiche per definirci "meno intelligenti, meno forti". Ha forse ragione soltanto nel ritenerci "meno determinati".

Ritornano le note paranoie dell'avamposto Nato presso il Baltico visto come provocazione e dei giudizi politici sul regime moscovita visti come atteggiamento aggressivo (vietato criticare il futuro capo dell'Eurasia?). Tutti ostacoli all'obiettivo russo, in base al quale dovremmo prepararci ad un avvenire da colonia. Considerando che tutto questo proviene da una democrazia incompiuta (per usare un eufemismo), dove i diritti politici non vengono garantiti, dove i principali mass media sono da tempo entrati nell'orbita del cerchio magico di Putin, dove i dissidenti più influenti vengono uccisi (Anna Politkowskaya, Boris Nemstov, ...) o costretti a continuare a dissentire dall'estero (Garry Kasparov, Masha Gessen, ...), abbiamo ottime ragioni di temere un simile avvenire.

E non ci conforta constatare che, nell'opinione pubblica europea, cresce la simpatia verso questo modello, considerato il migliore per difendersi dal terrore dell'Isis e dei suoi cani sciolti, mentre anche in questo caso è vero il contrario: e cioè che Putin si serve dell'Isis e degli estremisti islamici in genere per scopi che tornano ad aver a che fare con la volontà di dominio. Così, in Cecenia vige uno Stato islamico de facto, in cui gli estremisti vanno e vengono dall'Isis col beneplacito del governatore (putiniano e a sua volta estremista islamico) Ramzan Kadyrov; in Siria la Russia non ha scalfito l'Isis nonostante la promessa di "risolvere il problema" in poche settimane; Putin ed Erdogan ricominciano a tessere un dialogo proprio mentre il secondo fa mostra del peggio di sé.