Tapparini Trump

Per decenni, il pensiero contro occidentale ha accusato il capitalismo euro-americano di tutto il male del mondo e denunciato la vocazione servile delle sue sovrastrutture politico-istituzionali.

È stato un rumore di fondo ideologico che ha accompagnato l'intera stagione della Guerra Fredda e della pax americana fondata sulla coincidenza tra ordine politico e ordine economico, democrazia e economia di mercato, rule of law e società aperta e garantita da una gestione spregiudicata - dittature "di servizio" comprese - dei principali rischi strategici e dell'espansionismo ideologico e politico sovietico nell'emisfero occidentale e nei paesi in via di sviluppo.

Gli Stati Uniti uscivano da Yalta come una potenza globale e si comportavano da potenza globale, persuasi a ragione che l'affermazione del proprio modello di convivenza e di vita, assicurato da un mix di hard power e soft power, sarebbe stato un buon affare e avrebbe ripagato gli americani dei miliardi e del sangue che sarebbero stati costretti a versare per salvaguardare la stabilità internazionale.

E il pensiero contro, intanto, denunciava la natura imperialistica e neo-coloniale della primazia a stelle e strisce.

Anche la cosiddetta globalizzazione economica è stata un'espressione globale della potenza americana e della sua idea delle relazioni internazionali in un mondo apparentemente "pacificato", mentre una rivoluzione tecnologica straordinaria mutava il modo di produrre, consumare e vivere le ambizioni economiche individuali e collettive, le prospettive di crescita degli stati, e quelle di emancipazione dalla fame, dalla miseria e dalla mera sussistenza di centinaia di milioni di uomini e donne.

E il pensiero contro, inseguendo le ambizioni egemoniche globali del "sistema americano", diventava infine pensiero no global.

Poi è successo quel che è successo. Nuovi vincitori e nuovi sconfitti, nuovi rapporti di forza e di debolezza, miliardi di persone agganciate finalmente al treno dello sviluppo, e centinaia di milioni nel vecchio mondo sviluppato consegnate a un'incertezza sconosciuta e inattesa e al rischio dell'impoverimento. Quello che oggi il mondo palesa è a un tempo lo straordinario successo e la gravissima crisi politica del capitalismo globale, la sua insostituibilità nei paesi poveri ed ex poveri eccezionalmente popolosi e la sua insostenibilità democratica nei paesi ricchi ed ex ricchi, e già demograficamente dipendenti dall'apporto di forza lavoro immigrata.

Così il pensiero contro occidentale è passato dal sindacalismo ideologico delle ragioni dei vecchi perdenti a quello dei nuovi perdenti (che rimangono, comunque, mediamente più ricchi dei nuovi vincenti). La polemica "antimercatista" ha traslocato da sinistra e destra, fino a diventarne - quasi ovunque - il pensiero mainstream o quasi-mainstream. Anche in America, con Trump, che usa ovviamente materiali di destra - la xenofobia, il securitarismo, l'isolazionismo settario - per una battaglia di destra, dove l'antiglobalismo di sinistra usava materiali di sinistra - il pauperismo, il solidarismo, l'ecologismo - per la battaglia di sinistra contro lo stesso nemico capitalista.

Tutto questo spiazza la destra tradizionale - tutta free market, stato minimo, concorrenza... - ma anche la sinistra tradizionale, cui spetta, suo malgrado, la paradossale rappresentanza di un internazionalismo distante anni luce da quello interpretabile con categorie socialiste e post-socialiste. Ed è perfettamente logico che oggi sia la destra ad apparire avvantaggiata in questo scontro. La destra sta col popolo che soffre, la sinistra con le élite, con l'establishment, con gli "stranieri"...

L'approccio bellicoso e la retorica dell'uomo forte, che Trump e i suoi emuli europei imbracciano per conquistare il consenso di un elettorato spaventato e offeso, non è una reazione alla minaccia esterna, ma a una debolezza interna. Come l'islamismo politico è una sindrome endogena del mondo musulmano nel suo rapporto con la modernità, non un prodotto di colpe o provocazioni occidentali, così il trumpismo non è la reazione al disordine del mondo, ma al disordine psicologico dell'America minacciata dalle paradossali conseguenze del trionfo americano.

@carmelopalma