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Quanto impiega mediamente il Parlamento italiano ad approvare una legge? E quanto tempo si risparmierebbe con la fine del bicameralismo perfetto, come delineata dalla riforma costituzionale (oggetto di approvazione referendaria in autunno)? Abbiamo provato a fare una previsione: un esercizio teorico, senza troppe pretese, da prendere dunque con il beneficio dell’inventario. Ma è un esercizio che regala spunti di riflessione interessanti.

Per la stima, abbiamo preso le leggi approvate negli ultimi 5 anni - dal 2011 al 2015 - e abbiamo provato a simulare la loro approvazione secondo le procedure della nuova Costituzione. Ci siamo serviti di alcune assunzioni: anzitutto, abbiamo escluso le leggi la cui materia, secondo la riforma, resterebbe soggetta alla piena potestà legislativa del Senato (l’ordinamento delle autonomie locali, ad esempio, gli adempimenti comunitari e le leggi costituzionali); abbiamo quindi escluso le leggi di bilancio, le leggi di stabilità, le leggi di conversione dei decreti-legge e le leggi di ratifica di trattati internazionali, che per natura del provvedimento o regole imposte hanno già tempi rapidi e contingentati. Abbiamo dunque limitato la nostra analisi alle leggi “normali”, quelle per le quali il passaggio da un sistema bicamerale paritario ad un bicameralismo asimmetrico farà davvero la differenza.

Il primo passaggio è stato calcolare il tempo trascorso tra la prima seduta di commissione parlamentare in cui una proposta di legge è stato discussa e l’approvazione della stessa da parte del primo ramo del Parlamento chiamato ad esprimersi. A questo punto, abbiamo immaginato l’intervento del “nuovo” Senato, che nelle materia di competenza esclusiva della Camera avrebbe la prerogativa di richiamare un testo entro dieci giorni dal voto alla Camera e di proporre modifiche entro i trenta giorni successivi. Per una stima più prudente, abbiamo immaginato che il Senato richiami sempre una legge approvata dalla Camera, cosa che probabilmente non avverrebbe nella realtà. In tutto, dunque, alla prima approvazione di un ramo del Parlamento abbiamo dunque aggiunto 40 giorni. Questo lasso di tempo è stato confrontato con il periodo effettivamente trascorso, tra quella prima approvazione e l’approvazione finale, dopo i vari rimpalli tra Camera e Senato (la cosiddetta “navetta”).

Cosa abbiamo scoperto? Anzitutto, che sulle 93 leggi prese ad esame, il risparmio di tempo medio sarebbe di 176 giorni: quasi 6 mesi. Ci sono casi, nel periodo considerato, in cui il risparmio di tempo delle nuove procedure costituzionali sarebbe stato minimo: a volte, il governo e la maggioranza di turno hanno deciso di accelerare l’esame e l’approvazione di una legge, riducendo all’osso la discussione e l’emendazione.

Ci sono tuttavia casi in cui i tempi di approvazione sono stati a dir poco biblici. La legge n. 3 del 2012 contro il reato di usura, ad esempio, ha iniziato l’esame in commissione il 23 settembre 2008, è stata approvata in prima lettura il 1 aprile 2009, ma ha ricevuto l’approvazione finale solo il 17 gennaio 2012: secondo la nostra stima, con le procedure della nuova Costituzione l’approvazione sarebbe arrivata ben 981 giorni prima, quasi 3 anni. Per la legge 55 del 2015, il divorzio breve, il risparmio di tempo sarebbe stato di 288 giorni. Un tema importante per la quotidianità degli italiani, la riforma della disciplina dei condomini (legge n. 220 del 2012), sarebbe stata approvata con 624 giorni d’anticipo. La legge sul riconoscimento dei figli naturali? Almeno con 476 giorni d’anticipo, a metà 2010 e non a fine 2012. Il provvedimento contro la corruzione nella PA? Sarebbe diventato legge 464 giorni prima, a giugno 2011 e non a ottobre 2012. Potremmo continuare a lungo.

Lungi da noi pensare che il compito della buona politica sia fare “più” leggi, anzi. L’Italia ha semmai bisogno di meno leggi, ma migliori. Eppure, uno dei grandi difetti del nostro bicameralismo perfetto è l’inutile duplicazione delle funzioni di Camera e Senato, fonte di lunghezza eccessiva del processo decisionale. Ogni giorno trascorso in attesa di una legge che è già lì, già discussa, modificata e votata in un ramo del Parlamento, ma ancora in attesa dell’inutile navetta, è un giorno sottratto alla certezza del diritto, alle istanze di cambiamento, alle attese di chiunque abbia un interesse legittimo ad una data legge, che sia un cittadino o una comunità locale, una famiglia alle prese con le proprie scelte di vita, un’impresa che deve decidere se realizzare o meno un investimento o se assumere o no un lavoratore. Liberare e velocizzare la democrazia significa renderla più forte.