D'Alema, l'ammuina e la voglia di seconda repubblica
Istituzioni ed economia

La realtà supera la fantasia. L’intervista odierna rilasciata da Massimo D’Alema al Corriere della Sera sembra la trasposizione in politica del video “Il dalemiano” realizzato dal gruppo di satira politica “Il terzo segreto di satira”: D’Alema le riforme le vuole e si batterà fino alla sua ultima goccia di energia perché l’Italia abbia una buona riforma costituzionale, sono gli altri che remano contro, che propongono cose fatte male, che danneggiano il partito e il Paese.
Lui non vuole che Renzi lasci il governo, farà di tutto per convincerlo a restare anche dopo la sconfitta del referendum, ma quel cocciuto non ascolterà ragioni! La riforma costituzionale del 2006 promossa dal centrodestra di Berlusconi? Lui votò no, ma certo quella riforma era migliore di quella attuale. Lasciare il PD e fondare un altro partito? Assolutamente no, ma nulla esclude che a sinistra del PD possa nascere un quarto polo.
Massimo D’Alema non è stato né migliore né peggiore di altri esponenti della Seconda Repubblica italiana, ne è stato semplicemente un grande interprete. La Repubblica delle mega-coalizioni elettorali, delle formule variabili, delle desistenze, dei ribaltoni, del dibattito sulle riforme istituzionali come valore in sé e come arma contro gli avversari, a prescindere dal risultato concreto.
Nell’intervista di oggi, in fondo, D’Alema ci svela un “segreto”: quella Repubblica è ancora qui, nonostante la crisi economica europea, la stagione del governo tecnico, il declino politico di Berlusconi e l’ascesa di Renzi da un lato e di Grillo dall’altro. Basta poco e la Seconda repubblica – piena di venature della Prima – può tornare in tutta la sua splendida inconcludenza.
La riforma costituzionale e la nuova legge elettorale, pur con tutte le loro debolezze e imprecisioni, servirebbero proprio a superare questa transizione incompiuta, a disegnare un sistema politico più semplice: il partito che vince governa, gli altri stanno all’opposizione con tutte le garanzie costituzionali riconosciute alle minoranze e si preparano alle prossime elezioni con programmi e personalità competitive. È la prospettiva di chi - a destra, al centro o a sinistra - fa il tifo per un'Italia più moderna, più solida e più semplice.
Se la riforma costituzionale verrà approvata, e se l’Italicum sopravviverà, non ci sarà nessuna tirannia del vincitore: con un margine di appena 24 deputati rispetto alla maggioranza assoluta (340 su 630, tanti ne assegna l’Italicum), di quale tirannia stiamo parlando? Semmai, si eviterà la tirannia della paralisi, che è il grande rischio delle attuali frammentate democrazie europee (vedi la Spagna).
Chi contesta l’impianto delle riforme approvate dovrebbe assumersi l’onere di spiegare all’opinione pubblica quale modello alternativo propone. Non in astratto, ma in concreto, tenuto conto dei vincoli e della “approvabilità” parlamentare. Analizzando le parole di D’Alema, di tanti esponenti della sinistra PD e dei centristi della maggioranza (quelli che le riforme le hanno votate a più riprese in Parlamento), si coglie che c’è molta voglia di coalizioni, di cespugli, di proporzionale, di governi deboli in balìa dei “vertici di maggioranza”. C’è molta voglia di business as usual, di dalemismo e di mastellismo.
Per l’altro grande partito a vocazione maggioritaria, il M5S, il clima non potrebbe essere migliore: più gli altri si azzuffano, più discutono di legge elettorale, di preferenze, di sbarramenti, di premi alla coalizione, più il loro messaggio anti-politico si fa cristallino e attraente. Per la Lega di Salvini, il caos è energia vitale: Salvini non mira al governo, ma ad avere più forza proporzionale, a esistere e a resistere col suo significativo gruzzoletto di voti. Benvenuti nel magico mondo di Massimo D’Alema, il mondo dell’immobilissima ammuina.

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