Trudeau marijuana Canada

'Il nostro approccio alla questione della legalizzazione della marijuana non è quello di voler creare un'industria artigianale o incassare più tasse, ma è basato su due principi molto semplici.

Il primo è questo: i giovani, oggi, in Canada, hanno facile accesso alla cannabis, più che in praticamente tutti gli altri Paesi del mondo. Su 29 Paesi sui quali l'ONU ha condotto uno studio, il Canada è risultato primo per quanto riguarda la facilità di reperimento della marijuana per i minorenni. E, qualunque cosa possiate pensarne, qualunque studio possiate aver letto sul fatto che sia meno dannosa dell'alcool o perfino delle sigarette, la verità è che la marijuana fa male allo sviluppo del cervello, e quindi dobbiamo rendere più difficile per i canadesi minorenni il procurarsela. E questo sarà possibile passando a un regime di controlli e regolamentazioni.

L'altra parte del ragionamento è che, a causa del commercio illegale della marijuana, miliardi e miliardi di dollari affluiscono nelle tasche degli appartenenti alla criminalità organizzata, delle gang di strada e dei mercanti di armi: se riuscissimo a togliere questo business dalle mani della criminalità, regolamentandolo secondo legge, si ridurrebbe il volume d'affari dei criminali che ne ricavano profitti, con ripercussioni su molte altre attività illegali.

Non dubito che gli imprenditori, canadesi e no, grazie alla legalizzazione e al controllo della cannabis, troveranno molti modi innovativi di creare sviluppo economico e benefici per tutti, ma il nostro obiettivo primario rimane la protezione dei ragazzi e la sicurezza nelle strade'.

Queste le parole pronunciate dal primo ministro canadese Justin Trudeau davanti a una platea di imprenditori che gli facevano domande sugli eventuali vantaggi economici che potrebbero derivare per il Canada dalla legalizzazione della cannabis: il Washington Post fa notare come Trudeau si sia concentrato soprattutto sull'aspetto della sicurezza e della protezione dei giovani, lasciando quello economico in secondo piano.

Il quotidiano statunitense evidenzia che Trudeau è riuscito a rovesciare, a favore della legalizzazione, uno degli argomenti più utilizzati dai proibizionisti, cioè che il consumo di marijuana sia dannoso per bambini e ragazzi: senza cercare di negare questo assunto, il primo ministro canadese ha puntato il dito su un aspetto della questione spesso sottovalutato, vale a dire il fatto che già oggi, a divieti vigenti, è molto facile per i giovani procurarsi la cannabis, e che una regolamentazione, ben lungi dall'aggravarlo, aiuterebbe invece a controllare e limitare il fenomeno.

Sebbene l'articolo del WP premetta onestamente che la legalizzazione della marijuana in vari Stati USA è troppo recente perché se ne possano trarre dati attendibili, cita comunque uno studio di Lancet Psychiatry che dimostra come negli ultimi 10 anni - quelli che hanno visto l'allentarsi delle rigide leggi proibizioniste in molte regioni degli Stati Uniti - il consumo di cannabis tra i giovani sia diminuito e i problemi medici da esso derivanti anche. Inoltre, le ultime statistiche dal Colorado dicono che, dalla legalizzazione a oggi, non c'è stato nessun aumento significativo dell'uso di marijuana nella fascia d'età più giovane.

Naturalmente, sottolinea il giornalista, ciò non significa che il consumo di cannabis, anche legalizzato, non comporti rischi e problemi, sia a livello medico che di ordine pubblico; tuttavia, ciò che troppo pochi ricordano è che ben maggiori sono i rischi della cannabis illegale, sia per i semplici possessori che, per una canna, rischiano di finire in carcere per anni, vedendo la propria vita rovinata, sia per chi magari non è nemmeno consumatore, ma rischia di trovarsi in mezzo a faide e regolamenti di conti fra bande criminali che cercano di controllarne il commercio.

Il discorso di Trudeau, insomma, punta a convincere dell'opportunità della legalizzazione della marijuana anche chi ne ha paura, evidenziando come i rischi del mantenerla illegale siano maggiori di quelli che si correrebbero legalizzandola: la realtà, conclude il Washington Post, per ora sembra dargli ragione.