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A chi somiglia? come sempre, quando arriva qualcosa di nuovo, l'Italia cerca il precedente storico a cui aggrapparsi per capire e regolarsi. Nel caso del Movimento Cinque Stelle il paragone di tendenza è quello con la Lega. Ne ha scritto qui su Strade Carmelo Palma facendo riferimento all'ideologia localista e ai temi del No-euro, e anche “Repubblica” ha pubblicato un'analisi di Ilvo Diamanti secondo cui M5S e Lega si apprestano a celebrare «le nozze del caos». Diamanti cita uno studio di Demos secondo cui quasi 3 elettori della Lega su 10 si dicono molto o abbastanza vicini al Cinque Stelle, e viceversa. E poi, metà degli elettori della Meloni a Roma sarebbero intenzionati a votare per la Raggi, così come a Torino metà degli elettori leghisti confluirebbero sulla Appendino. «L'opposizione populista lega-stellata – conclude il politologo – minaccia di diventare la principale opposizione a Renzi», scavalcando il vecchio schema sinistra/destra.

Il ragionamento fila solo in apparenza. I temi No-euro, la critica all'Unione, la cosiddetta difesa dei popoli, sono il DNA comune di tutti i movimenti anti-elite che stanno affermandosi in Europa, ed è in questo contesto che si deve incorniciare il (possibile) travaso di voti tra il mondo salviniano e quello grillino. Ma l'elettore-tipo del M5S potremmo immaginarlo, altrove, indifferentemente affiancato a Podemos, a Farage, persino a Tsipras nella sua fase “rivoluzionaria”, prima che andasse al governo. O anche, sul fronte della Brexit, in compagnia del conservatore Boris Johnson, o nell'opposta schiera dei separatisti scozzesi, di tutti i movimenti insomma che sfuggono alle categorizzazioni del Novecento. Questo per dire che l'ancoraggio non è con la Lega in quanto tale, ma con un sentiment più largo e complesso, che ormai si esprime con regolarità ogni volta che in Europa (ma non solo: basta guardare alle nomination in Usa) gli elettori sono chiamati alle urne, e che ha a che fare con una dilagante rivolta contro gli establishment più che con riferimenti ideologici precisi.

La sovrapposizione M5S-Lega in questi giorni viene molto usata a sinistra in un estremo tentativo di ricompattare il mondo progressista, dove il vento continentale della protesta soffia forte, e spesso risulta suggestivo. Quale modo migliore che confinare i Cinque Stelle nel recinto infrequentabile del leghismo, della xenofobia, se non addirittura del fascismo? L'operazione è partita quando i “contenuti” grillini hanno cominciato a spostarsi da una generica protesta anti-europea venata di assurdità da manicomio (le scie chimiche, i tumori curati col limone, i vaccini che causano autismo) nella fascia dei diritti sociali e civili che la sinistra considera suoi “per primogenitura”. La posizione (frutto di un referendum tra gli iscritti) sull'abolizione del reato di immigrazione clandestina, il sì alle unioni gay, il reddito di cittadinanza, soprattutto: sono queste le cose che preoccupano il Pd perchè parlano al suo mondo. E adesso, con due donne candidate sindaco (potere alle donne, un'altra cosa “di sinistra”) che chiamano nelle loro giunte urbanisti della scuola di Cederna, intellettuali formati da Settis, leader dell'Arci-Gay (l'Arci, perno della strategia di conquista del consenso del vecchio Pci), l'allarme si fa assordante.

Se proprio si deve fare un paragone, a me il M5S fa venire in mente, piuttosto, la Forza Italia della prima ora, quella che mise insieme gruppettari e fascisti, professori comunisti e pubblicitari, giovani aspiranti attrici ed ex-editorialiste del manifesto, intuendo che c'era uno spazio politico per qualcosa oltre i vecchi partiti. E sarebbe davvero un paradosso storico se, per la seconda volta in trent'anni, la sinistra politica perdesse la partita contro un'armata raccogliticcia ed eterogenea, troppo a lungo sottovalutata e combattuta con le armi dello scherno e dell'irrisione.