Tunisia

La comprensione giuridica della 'giustizia di transizione' non può prescindere dall’affermare il diritto alla conoscenza di ciò che è avvenuto e che avverrà in un dato contesto, per affrontare pubblicamente e razionalmente il passato, evitando che gli errori e gli orrori si ripetano in futuro, e realizzare la conciliazione nazionale. Per cogliere al meglio cosa stiamo analizzando dobbiamo esaminare il 'caso Tunisia'.

Negli scorsi anni, “Non c’è Pace Senza Giustizia” e l’Al-Kawakibi Democracy Transition Center hanno contribuito in modo sostanziale a promuovere il processo di stesura della legislazione attraverso una serie di attività sotto l’egida dell’Accademia per la Giustizia Transitoria. Nel paese è stata istituita una “Commissione per la Verità e la Dignità” per far luce sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse dal luglio 1955 al 2013.

La Commissione è un organo indipendente composto da quindici membri scelti dall’organo legislativo tra i rappresentanti delle organizzazioni per la tutela e il monitoraggio dei diritti umani. Le audizioni sono iniziate nel maggio scorso e sono molte le problematiche che la commissione sta riscontrando. Numerosi gli elementi che hanno suscitato preoccupazione: primo tra tutti, il tempo limitato - la commissione ha infatti a disposizione quattro anni più uno per esaminare le richieste ricevute e le difficoltà imposte dalla burocrazia.

Teoricamente, i poteri della commissione sono considerevoli: accesso agli Archivi di Stato, facoltà di chiamare le persone a testimoniare, di compiere ispezioni e di intraprendere le misure necessarie per la protezione delle vittime e dei testimoni. Non avendo competenze giurisdizionali, può deferire i casi di violazione dei diritti umani alla magistratura per fare intraprendere un eventuale procedimento penale.

Scopo della commissione è quello di esaminare i casi concernenti le gravi violazioni dei diritti fondamentali ai sensi dei trattati internazionali ratificati dalla Tunisia. Inoltre è stato costituito un Fondo per la dignità e la riabilitazione delle vittime, un risarcimento in forma individuale o collettivo delle vittime e per le violazioni commesse contro donne e bambini. Anche in questo caso, le donne risultano essere le principali vittime del passato regime: lo stupro era una forma di tortura istituzionalizzata.

A ciò va aggiunta la chiusura della società araba per le donne vittime di violenza sessuale. “Quando una donna è imprigionata, nel mondo arabo, questo distrugge la sua vita, perché quando viene rilasciata entra in una prigione più grande, il rifiuto della società”, ha dichiarato Ibtihel Abdellatif, tra le fondatrici dell’Associazione delle Donne Tunisine. Nel dicembre 2015, la “Commissione per la Verità e la Dignità” ha dichiarato di aver ricevuto 22.600 casi e ha posticipato la data di sottomissione dei procedimenti di altri sei mesi.

La fragilità della commissione è evidente e l’intero processo di transizione dipende anche dalla volontà politica e giuridica internazionale. Un contributo e un sostegno alle istituzioni tunisine nel garantire l’accesso alla conoscenza potrebbe venire dalla vertenza in corso del Partito Radicale Nonviolento che tenta di discernere nell’affermazione e codificazione del diritto umano alla conoscenza le fondamenta dello Stato di Diritto. Si tratta di rafforzare il dibattito sul contesto politico e giuridico del “diritto alla conoscenza” in relazione con i diritti umani, innescando procedimenti giuridici per rendere effettivi tali diritti.