brennerotarga

Che differenza c’è tra una trojka stanziata al ministero dell’economia per ricondurre il debito di un paese all’interno di parametri precedentemente condivisi, e una pattuglia di gendarmi di frontiera che vigilano sull’applicazione, da parte del paese confinante, di un trattato che quel paese non applica dopo averlo liberamente sottoscritto?

Dal punto di vista formale nessuna: il trattato di Maastricht è stato condiviso anche dalla Grecia - o dalla Spagna, o dall’Italia, o dal Portogallo -, e non può essere l’impossibilità congiunturale a rispettarne i parametri a imporne la riscrittura. Allo stesso modo anche il trattato di Dublino, che scarica di fatto sui paesi europei periferici l’obbligo di concedere o respingere l’asilo politico ai profughi, è stato sottoscritto anche dall’Italia, quindi la posizione dell’Austria che ne chiede il rispetto - e che si attiva per imporci di farlo rispettare - è tecnicamente ineccepibile.

E molte sono le somiglianze sul piano della mortificazione della dignità di un paese, che vede calpestata la propria sovranità in base a un accordo materialmente inapplicabile e che sente iniquo proprio perché inapplicabile. Aggravate dal fatto che si tratta, ancora una volta, degli stessi paesi.

Le differenze, è evidente, ci sono sul piano politico: si può sostenere che rimettere i conti in ordine in Italia faccia bene anche all’Italia, ma è assai temerario pretendere che l’Italia possa farsi carico dell’intero flusso di rifugiati provenienti dalla Libia e forse presto anche dal Canale di Otranto nel suo interesse. Si può ragionevolmente pensare che non sia giusto che i contribuenti del Nord Europa debbano condividere il costo dei nostri sprechi, ma che sia giusto che condividano la responsabilità della gestione di una massa di disperati che vedono l’Europa, non l’Italia, come opportunità di salvezza.

Sono valutazioni politiche che però non hanno alcun peso poiché non esiste un organo legittimato a prenderle in considerazione. Sono merce da negoziato, e una merce di assai scarso valore, dal momento che il governo di ogni paese - il primo turno delle presidenziali austriache ne ha fornito un’evidenza plastica - risponde ai suoi elettori, non agli elettori altrui. Sono loro, gli austriaci, ad avere il potere di deporre Faymann, non la Commissione Europea. Le nostre rimostranze - legittime o meno, a questo punto conta poco - si infrangono su questo ostacolo, inesorabilmente. E al di là delle differenze del caso, dei torti e delle ragioni, era su questo medesimo ostacolo che si infrangevano le richieste greche.

E’ chiaro che le condizioni che hanno indotto l’Italia a sottoscrivere il trattato di Dublino sono cambiate. Avremmo potuto pensarci prima, è vero, ma è vero anche che non tutti gli scenari sono prevedibili al momento della firma di un accordo. Ma quello che manca all’Europa è un organismo con il potere di prendere atto delle cose che accadono e di cambiare rotta a seconda delle circostanze. Un organismo politico: in parole povere, un governo europeo democraticamente legittimato ad agire - nel bene o nel male - nell’interesse generale.

E’ lo stesso deficit di integrazione che abbiamo potuto constatare - e oggi ci risiamo - con la crisi del debito greco. In mancanza di meglio non resta che attaccarsi - o impiccarsi - ai trattati, alla loro applicazione letterale o alle deroghe concesse - chiedere a Londra o ad Atene - solo in funzione del potere negoziale del beneficiario di turno. Un continente immobile, incapace di adeguare se stesso ai tempi che cambiano senza avviare un inesorabile processo di autodistruzione.

@giordanomasini