falasca francobollo sito

Bruxelles brucia. Bruxelles piange. Come Parigi solo pochi mesi fa, e prima ancora Londra e Madrid.

Piange l’Europa tutta, che ancora non si è ripresa dalla strage del Bataclan, dal sangue che ha imbrattato le pagine libere di Charlie Hebdo, dall’impotenza manifesta che gli attentati dell’estremismo di matrice islamica hanno reso sin troppo palese.

Perché l’Europa è sotto attacco: non solo come punto di riferimento geografico-culturale, ma anche come istituzione, nel senso di Unione Europea. Non a caso, infatti, una delle esplosioni in terra belga è avvenuta nel quartiere che ospita le istituzioni comunitarie, facendo tremare anche simbolicamente le fondamenta della nostra casa comune.

L’Europa è dunque inerme; e ancor di più lo è l’Unione Europea. Una situazione plasticamente rappresentata dalle lacrime di Federica Mogherini, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, ossia quello che è considerato (non del tutto in maniera appropriata), il Ministro degli Esteri dell’UE. Lacrime certamente di dolore e cordoglio ma, crediamo, anche di impotenza di fronte a un fenomeno cui non si riesce a trovare una risposta chiara, convinta ed efficace.

L’Europa comunitaria non sa cosa fare, dunque, e di certo non può sperare – come già ampiamente fatto in passato – che tocchi allo Zio Sam toglierle le castagne dal fuoco. Anche perché gli Stati Uniti stessi hanno il loro bel daffare a gestire la situazione geopolitica del Terzo Millennio, come dimostrato dall’immobilismo di fronte alla crisi siriana, all’esponenziale crescita del DAESH, all’attivismo – di contro – di Vladimir Putin. Senza dimenticare le ambiguità sulla questione curda, e la delicata fase di politica interna, con Obama a fine mandato e lo spauracchio Trump che agita tutto l’arco parlamentare a stelle e strisce.

Niente USA significa, di fatto, niente NATO, inutile girarci tanto intorno. E quindi? E quindi è forse venuto il momento di rimpiangere – e, conseguentemente, riprendere in mano – il progetto di una Comunità Europea di Difesa.

La CED fu pensata all’inizio degli Anni ’50: ne accennò, come idea ancora piuttosto vaga, il nostro ministro degli Esteri, il liberal-repubblicano Carlo Sforza; e vi diede forma il suo omologo francese, il gollista René Pleven, affidando poi il progetto a Jean Monnet. Si sarebbe dovuto trattare di un esercito unico sovranazionale della CECA, pensato in quel modo per evitare il diretto riarmo della Germania post-nazista.

Furono però proprio i francesi, a causa di quel maledetto vizio nazionalista-sciovinista (De Gaulle non voleva ingerenze e temeva l’ipotesi di un futuro riarmo tedesco) mischiato a questioni di politica interna (il disastro in Indocina non era certo un bel biglietto da visita…), a far fallire il progetto, bocciandolo quattro anni dopo in Parlamento. La pavida Italia non ne ebbe nemmeno bisogno: legò il proprio parere ad un’eventuale approvazione transalpina che, appunto, mai arrivò.

E questo nonostante stesse lavorando a dare solidità al progetto proprio un italiano, il cui contributo all’integrazione europea è stato a dir poco fondamentale: Altiero SpinelliSpinelli, all’epoca segretario del Movimento Federalista Europeo, si impegnò per la creazione di una Comunità Politica Europea (CPE), quale ‘pilastro politico’ per la CED. Approvato dagli altri Paesi dell’allora CECA, ossia Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, fu fatto naufragare dai Parlamenti italiano e francese.

Il palliativo, per cercare quantomeno di rendere meno amara la sconfitta per i ‘pensatori’ europei, fu l’allargamento dell’Unione dell’Europa Occidentale a Italia e Germania. Ma si è sempre trattato di una realtà esistita poco più che sulla carta, resa poi obsoleta dalla conformazione dell’Unione Europea.

Nei decenni seguenti, qualsiasi tentativo di tornare sul tema si è fermato al massimo a sterili dichiarazioni di principi o poco più: si pensi al documento ‘Un'Europa sicura in un mondo migliore’, emanato dal Consiglio Europeo del 12 dicembre 2003, rimasto sostanzialmente un bell’intento su carta. O all’accenno limitato alla mutua difesa tra Stati Membri di cui parla il Trattato di Lisbona del 2007.

Ora, di fronte a quanto sta accadendo, mentre ancora il terrore balla nei nostri occhi come riportato dalle immagini televisive, i nostri leader devono necessariamente prendere in mano la situazione, poiché la soluzione è “più Europa!”, non “meno Europa!”, anche al livello difensivo-militare. Perché o si fa qualcosa anche in questo senso, oppure servirà a poco poi lanciare appelli allarmati contro i populismi, gli estremismi, gli orbanismi, le ‘Brexit’ e le ‘alternative per’ di chi, parlando alla paura della gente, vuole mettere la parola fine all’idea che ha salvaguardato il nostro continente dopo i drammi di ben due Guerre Mondiali.

Ha quindi ragione il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando dice: "Va ribadita la ferma convinzione che la risposta alla minaccia terroristica deve trovare saldamente uniti i Paesi dell'Unione Europea. Occorre affrontare questa sfida decisiva con una comune strategia, che consideri la questione in tutti i suoi aspetti: di sicurezza, militare, culturale, di cooperazione allo sviluppo".

Il momento è adesso, subito.