frauke petry

Heidelberg. All'indomani delle elezioni in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt, anche i quotidiani italiani non hanno mancato di sottolineare la forte ascesa dell'Alternative für Deutschland (AfD), partito nato tra il 2012 e il 2013 per intercettare una fetta di elettorato alla destra dell'unione cristiano-democratica e cristiano-sociale della signora Merkel. Quello che cinque anni fa sembrava un compito improbo, ai limiti dell'impossibile, è oggi diventato realtà. L'AfD è la seconda forza politica in Sassonia-Anhalt dietro la CDU, la terza sia nel Baden-Württemberg dietro Grüne e CDU, sia in Renania-Palatinato dietro SPD e CDU. Dopo l'ingresso nei Parlamenti di tre Länder della Germania Est (Sassonia, Brandeburgo e Turingia) e al Parlamento europeo nel 2014, all'AfD è così riuscito di sfondare anche in due grandi Stati dell'Ovest. Posto che, nonostante il boom, l'AfD resterà forza di opposizione in tutti e tre i Länder in cui si è votato occorre chiedersi quali siano le ragioni dell'exploit di una formazione politica che già alle elezioni federali del 2013 sfiorò la soglia di sbarramento, restando fuori dal Bundestag per tre decimi di punto percentuale (4,7%).

I fattori che spiegano il successo odierno dell'AfD sono molteplici, in buona misura riconducibili all'insoddisfazione per le politiche migratorie del governo federale. A questo proposito, occorre sottolineare che l'estate scorsa il partito sembrava inesorabilmente condannato a un lento declino. Dopo la frattura tra l'ex-portavoce del movimento, l'economista Bernd Lucke e l'attuale leader, Frauke Petry, nonché dopo l'uscita di scena di molti dei suoi fondatori, l'AfD era tornata sotto il 5% a livello federale in molti sondaggi, ben lontana dal diventare la sesta forza dello scacchiere politico tedesco. A risollevarne le sorti è stato in effetti l'autunno caldo dell'emergenza-rifugiati. Di fronte alle mosse contraddittorie del governo di Berlino, che ha prima aperto le frontiere e soltanto dopo ha cercato di gestire l'afflusso di un milione di persone entro i suoi confini, molti tedeschi hanno perso fiducia nelle istituzioni e, prima ancora, nella Cancelliera.

Al di là dei fatti di Colonia, che pure richiedono ancora un chiarimento definitivo da parte della magistratura, la cosiddetta immigrazione incontrollata non sembra aver creato per ora un problema generale di ordine pubblico. I richiedenti asilo sono spesso ospitati in strutture al di fuori dei centri abitati e entrano di rado in contatto con la popolazione. Questo è ad esempio il caso del centro di registrazione di Heidelberg, il Patrick Henry Village, quartier generale degli americani negli anni ´50, nel quale oggi i profughi stazionano per qualche giorno, vengono visitati e possono fare richiesta di asilo. Da qui, il Land Baden-Württemberg, si incarica di smistarli e collocarli in campi di accoglienza in diversi Comuni del circondario. Eppure, secondo l'AfD i migranti in arrivo sarebbero troppi per quelle che sono le capacità tedesche di medio-lungo termine, sia in termini finanziari, sia in termini di tenuta sociale: da un lato l'accoglienza costa e rischia di determinare un ridimensionamento del welfare state per i cittadini tedeschi, dall'altro la sospensione temporanea del sistema di Dublino impedisce un'identificazione dei migranti al di fuori dal territorio tedesco.

Questi messaggi, semplici ed efficaci, non sono condivisi da minoranze violente e ai margini della società. L'elettorato dell'AfD non corrisponde a quello del partito nazionaldemocratico (NPD). Se così fosse, i numeri dell'Alternative sarebbero probabilmente molto più contenuti. Al contrario, come dimostrano i dati sui flussi diramati dalla tv pubblica tedesca, l'AfD è un partito populista che ha tutte le carte in regola per diventare popolare. A sostenerla ci sono tedeschi di estrazione borghese e liberale, ex elettori di CDU/CSU ed FDP, ma anche cittadini che, ad Est, hanno sempre votato a sinistra. Si tratta in buona sostanza di conservatori che temono quello che l'ex-Presidente del Senato, Marcello Pera, ideatore nel 2006 del manifesto “Per l'Occidente”, avrebbe chiamato il “meticciato culturale” prodotto dall'immigrazione, in particolar modo di matrice musulmana.

In questo senso, l'AfD è l'ennesimo prodotto della German Angst, la paura tedesca per l'ignoto e per ciò che non può essere adeguatamente programmato o controllato. Ma l'AfD è anche l'unico partito in grado di intercettare un diffuso malcontento, quello che in Germania si usa chiamare Politikverdrossenheit, nei confronti dell'establishment, in particolar modo verso la classe politica dei due grandi partiti popolari al governo, sentimento niente affatto circoscritto alla realtà italiana, bensì comune a tutto il mondo occidentale. In Renania-Palatinato il 62%, e in Sassonia-Anhalt il 64% degli elettori dell'AfD hanno scelto l'Alternative non per convinzione, ma per delusione nei confronti dei partiti tradizionali, in Baden-Württemberg addirittura il 70%. Fino al 2012-2013 erano i Piraten la forza chiamata a colmare parzialmente questo vuoto. Da quando l'AfD è riuscita a inserirsi con idee nuove nell'agenda politica della Repubblica federale prima sull'euro-crisi e dopo sull'immigrazione, i pirati e altre formazioni minori sono finite ai margini del dibattito pubblico.

In Germania, tuttavia, la parola “destra” è ancora oggi tabù. Nessun partito si definirebbe mai nemmeno di centro-destra. Neanche l'AfD, che pure occupa quella posizione nell'emiciclo di diversi parlamenti regionali, l'ha mai fatto. In questi giorni, alcuni organi di stampa tedesca insistono nel dipingere il partito come una NPD per borghesi un po' attempati e benestanti. Alcuni intellettuali ne attribuiscono la pericolosità al talento dei suoi esponenti e in particolare di Frauke Petry e ai suoi vice Beatrix von Storch e Alexander Gauland di rendere appetibili a un milieu borghese concetti e idee altrimenti prerogativa di frange estreme. Al di là delle capacità e doti oratorie dei suoi principali esponenti, in realtà i dati ci dicono una cosa diversa: l'AfD è stata votata in misura quasi eguale da tutte le fasce di età, in misura maggiore da uomini e per circa il 60% da operai, pensionati e disoccupati. Accanto a slogan a difesa della famiglia naturale, contro la teoria del gender, a favore del break-up dell'Eurozona e di denuncia dello strapotere delle banche, il programma del partito mescola anche proposte liberali in campo economico. In un articolo pubblicato ieri dall edizione online del settimanale Der Spiegel, si legge che l'AfD, pur avendo ottenuto il sostegno fondamentale di operai e disoccupati, avrebbe un programma da far invidia all'FDP, che prevede, tra le altre cose, la privatizzazione dell'assicurazione in caso di disoccupazione e dell'assicurazione anti-infortunistica, l'aumento ex lege dell'età pensionabile, l'eliminazione del contributo di solidarietà per i Länder dell'Est, l'introduzione di una flat tax, l'abolizione di alcune tasse locali e l'inserimento in Costituzione di un freno alla pressione fiscale.

Insomma, l'AfD è per certi versi figlia dello spirito del tempo, un partito che come altri nell'Europa occidentale e orientale associa un profilo identitario a uno più marcatamente market-friendly. Solo così infatti può pensare di rastrellare voti tra i delusi della CDU/CSU, che con la signora Merkel si è spostata nettamente a sinistra e, allo stesso tempo, fare concorrenza ai liberali, ancora in una fase interlocutoria e di riposizionamento dopo la batosta elettorale del 2013.