Erdogan

Il Consiglio europeo dell'altro ieri ha certificato la natura ormai ufficialmente post-europea delle politiche dei paesi membri sul tema dell'immigrazione e del diritto d'asilo all'interno dei confini dell'Ue.

La disintegrazione dell'Unione non è l'effetto dell'impatto insostenibile (insostenibile?) dell'emergenza profughi e dei suoi costi. Al contrario, è la rinazionalizzazione della logica europea (su questo come su altri fronti) a disarmare l'Unione e a condannarla all'impotenza, che a sua volta giustifica e rinforza la retorica nazionalista. Il nazionalismo danna l'Europa e si candida a salvarla. Prima l'umilia, e poi promette di redimerla e di emanciparla dalla condizione di mortificante minorità politica in cui l'ha imprigionata.

L'estremo paradosso è che a firmare la capitolazione, pagando alla Turchia il pizzo della sua protezione, sia il leader politico europeo, Angela Merkel, che più ha provato a impedire questa deriva e ora, comprensibilmente, prova a non esserne travolta, negoziando una soluzione non solo molto discutibile, ma di fatto impraticabile: il respingimento dalla Grecia, in un unico pacchetto, di immigrati irregolari e rifugiati, e l'accoglienza di un pari o analogo numero di profughi "regolari" dalla Turchia.

Probabilmente, per la cancelliera tedesca questo è un modo per far rientrare dalla finestra il tema delle quote di rifugiati da spartire tra i paesi membri, uscito dalla porta delle trattative intra-Ue, e per disincentivare e ridurre gli afflussi lungo la rotta balcanica, così andando incontro alle richieste dei paesi est europei.

Nei fatti però questo accordo, se fosse approvato dal prossimo Consiglio europeo, istituirebbe un formidabile incentivo per Erdogan a "bombardare" di migranti le coste greche per trattare sul prezzo della vigilanza turca, e per far crescere le quantità dello scambio secondo il rapporto uno-ad-uno richiesto lunedì da Davutoğlu a Bruxelles. Mettere una bomba nelle mani di Erdogan, confidando che la disinneschi e che non la usi per i suoi fini, si può davvero considerare una prova di realismo?

In questo caso, esternalizzare la gestione del problema equivale per i paesi europei a rimuoverne e quindi ad aggravarne le cause e le conseguenze interne. È la frammentazione nazionalistica a deteriorare la capacità europea di far fronte a un fenomeno di dimensioni demografiche e economiche ragguardevoli, ma ampiamente sopportabili (circa mezzo milione di rifugiati nel 2014, poco più di un milione e duecentomila nel 2015).

È la stessa frammentazione a impedire l'assunzione da parte dell'Ue di qualunque responsabilità politico-strategica rispetto alle aree di guerra prossime ai suoi confini, che costituiscono non solo un focolaio migratorio, ma un fattore di minaccia e di instabilità politica globale. Concretamente, è ciò che impedisce all'Unione di agire da potenza a condannarla all'impotenza e all'illusione di poter affidare in outsourcing a un despota nazionalista la gestione di un problema europeo.

Fa un certo effetto leggere lo statement con cui, nella notte tra lunedì e martedì scorso, i capi di stato e di governo hanno espresso il caloroso benvenuto alle pretese di Ankara - il raddoppio dei fondi a disposizione, la liberalizzazione dei visti e l'accelerazione del processo di adesione della Turchia all'Ue - all'indomani della chiusura manu militari di un giornale di opposizione.

Nella sua ipocrisia, però, questo documento esprime una verità: nella non-Europa infettata dal contagio nazionalista, Erdogan trova un posto a tavola e lo spazio per accomodarsi. Così, i paesi che non volevano i rifugiati siriani lungo le strade delle loro città e difendevano contro di loro la sicurezza nazionale, ne metteranno le chiavi in mano al nuovo indispensabile "alleato" di Ankara. Un vero capolavoro di lungimiranza.

@carmelopalma