Hillary Clinton

Cos'è la South Carolina per i Democratici? È uno di quegli Stati tipicamente "sudisti" nei quali sanno di non avere alcuna speranza di battere i Repubblicani.

Ma proprio perché lì, nelle elezioni generali, i Dem sanno di essere minoranza, durante le primarie la South Carolina è vista come un referendum sul loro rapporto con quella che lì rappresenta la maggioranza assoluta di quella minoranza, ossia l’elettorato afroamericano.

Quest’anno il test era particolarmente significativo. Da un lato, infatti, Hillary si porta appresso il punto di forza del tradizionale rapporto privilegiato di suo marito con le comunità afroamericane (ricordiamo che nel 1998 la scrittrice afroamericana Toni Morrison coniò per Bill Clinton la definizione di “Primo Presidente Nero, nonostante la pelle bianca”); dall’altro, però, aveva sulle spalle anche il doloroso ricordo della batosta infertale da Obama alle primarie di otto anni fa, quando il giovane senatore dell’Illinois vinse “a valanga” con oltre il 55% dei voti, lasciando la ex First lady con un umiliante 26,5 (il resto andò al terzo incomodo John Edwards). Ovviamente Obama aveva stravinto i voti degli afroamericani anche e soprattutto grazie ad un fattore biografico, il che ha sempre sollevato seri dubbi sulla possibilità di replicare simili risultati dopo la sua uscita di scena.

Che stavolta Hillary fosse stra-favorita era noto. Il suo sfidante, un anziano signore bianco del New England distintosi per aver criticato duramente (da sinistra) l’operato del “vero” Primo Presidente Nero, non ha mai riscosso consensi tra gli elettori di colore. Ma se la sua vittoria era ampiamente annunciata, non ne era affatto scontata la misura, e su questo si è svolta la battaglia.

Nelle ore a ridosso di una notte degli Oscar preceduta dalla solita polemica sulla carenza di candidati afroamericani, le radio locali del Palmetto State trasmettevano spot nei quali Spike Lee esortava a votare per Sanders mentre la voce di Morgan Freeman invitava a scegliere Hillary.

Il risultato è stato clamoroso. Tre quarti dei votanti di sabato hanno scelto lei, mentre a Sanders è andato soltanto il voto di un elettore su quattro. Ma è proprio nel voto degli afroamericani che risiede il dato più impressionante: ha votato per Hillary l’86%, poco distante dal 96 conquistato da Obama otto anni fa. Si tratta di un chiaro messaggio da parte della comunità afroamericana che, per tramite di chi tradizionalmente ne regge le fila, con questo voto ha stretto un patto con Hillary, e potrà a questo punto rivendicare un ruolo nella creazione di un clima a lei molto favorevole alla vigilia delle decisive votazioni del “Super Martedì”, facendo dimenticare il disastro di tre settimane fa in New Hampshire (dove, guarda caso, l’elettorato black è pressoché inesistente).

A rovinare la festa ad Hillary pesa però un dato: quello della affluenza alle urne. I titoli che ieri hanno sparato che “Hillary ha fatto meglio di Obama” sono infatti bugiardi, se letti alla luce del fatto che alle primarie Dem del 2008 avevano votato 532mila persone, mentre sabato hanno votato solo in 369mila. Il 55% di Obama nel 2008 consisteva in 295.214 voti; il 76% ottenuto sabato dalla Clinton consiste in realtà in appena 271.514 voti.

Se si considera che lo stesso crollo nella affluenza si era già registrato ai caucus Dem in Nevada, e che nel campo repubblicano si sta invece confermando la tendenza inversa, ossia un altrettanto significativo incremento del numero dei votanti rispetto a quattro anni fa, si potrebbe dire che la candidatura di Hillary, seppur vincente alle primarie, ha comunque un bel problema in vista di novembre. Se non fosse che, ora come ora, l’unico problema sul quale l’intera campagna elettorale pare condannata a focalizzarsi si chiama Donald Trump.