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Per parecchie settimane la discussione sulle unioni civili ha ruotato attorno al "problema M5S", cioè alla disponibilità delle truppe parlamentari grilline ad aggregarsi alla carovana improvvisata dei sostenitori del ddl Cirinnà, con dentro un pezzone di PD - senza il pezzetto cattodem - la sinistra anti-PD e post-PD e - forse sì, forse no - il gruppo parlamentare "di servizio" di Denis Verdini. Non occorre essere cultori dell'Arte della guerra di Sun Tzu per capire che consegnarsi alla benevolenza del nemico strategico, per guadagnare un vantaggio tattico contro un proprio alleato - Alfano e centristi vari - sarebbe stato pericoloso e potenzialmente letale.

Casaleggio, che è distopico, ma non scemo, ha tolto la sponda grillina e ha lasciato il PD in braghe di tela. Questo, presumibilmente, spingerà il PD a cercare una mediazione con Alfano, che non si accontenterà dello stralcio della stepchild adoption - prima sdegnosamente rifiutata dai proponenti - e sfoglierà come un carciofo il ddl Cirinnà, per renderlo invotabile anche dai suoi attuali sostenitori. È tutto purtroppo scritto nelle cose. Attribuire la responsabilità di questo ennesimo impasse al premier Renzi è tanto facile, quanto sbagliato. Per andare avanti su una legge che Alfano non voleva, non vuole, né vorrà mai fare approvare in una forma decente - quindi, come minimo, equiparabile a quella tedesca - il segretario del PD non aveva alternative alla forzatura dei vincoli di maggioranza.

Era però tanto sbagliato confidare nell'aiuto dei grillini prima, quanto sperare nella generosità di Alfano oggi. Ed è ancora più sbagliato tornare ad affrontare la bagarre parlamentare pensando di scavalcare la discussione parlamentare in sé, per sbrigare la pratica in pochi giorni e con pochi voti, dando implicitamente ragione a chi denuncia nell'uso spregiudicato delle tagliole, dei "canguri" e degli altri artifici regolamentari di maggioranza, una minaccia, potenzialmente "autoritaria", contro le prerogative del Parlamento. Se c'è ancora una via, per stretta e accidentata che sia, per approvare la legge sulle unioni civili, questa è quella più normale e per percorrerla tutti devono tornare a fare normalmente il loro lavoro.

Il Presidente del Senato deve tornare a fare il presidente del Senato, non il garante degli equilibri e degli accordi politici del'Aula e usare gli strumenti che ha, o quelli di cui si può dotare, anche innovando la prassi, per impedire che gli emendamenti presentati siano, per numero e qualità, non modificativi del testo, ma preclusivi della discussione. Al "generatore automatico" di emendamenti di Calderoli non si può rispondere con un generatore automatico di canguri, perché in questo modo, con la responsabilità convergente di maggioranza e opposizione viene di fatto abolito il ruolo del Parlamento. Ma niente impedisce al Presidente di cestinare, accorpare, sfoltire, sulla base di numerosi precedenti.

Il premier Renzi deve tornare a fare (anche) il segretario del PD e quindi impegnare il suo partito - contrari esclusi - a non mollare in una discussione parlamentare che sarà piena di trappole, ma non sarà così diversa né più faticosa di quella che ha portato all'approvazione delle leggi sul divorzio o sull'aborto. Ad Alfano, a cui Renzi non può imporre il sostegno a una legge di iniziativa parlamentare, che il NCD non ha condiviso, il premier può però dire apertis verbis che non tollererà che il vincolo di maggioranza sia usato dal NCD contro il capo del governo e il primo partito della coalizione. Ci sono modi - tutti pubblici - molto persuasivi per dirlo.

Infine i senatori favorevoli al provvedimento devono tornare a fare i senatori. Stare in aula, parlare, votare, respingere gli emendamenti e approvare gli articoli. È questo il solo modo per mettere in difficoltà i senatori grillini, che possono rifiutare sdegnosamente la complicità sul canguro, ma avrebbero molte più difficoltà a votare gli emendamenti di Giovanardi o a bocciare gli articoli della legge insieme a Giovanardi.

È una strada semplice? No. Ma è l'unica possibile. Ed è l'unica che può consentire a Renzi di evitare quella che sarebbe la sconfitta più bruciante dall'inizio della sua stagione di governo e la più foriera di sventure.