Alla fine i ballottaggi hanno confermato quanto già i risultati del primo turno facevano presagire: che in Francia il voto lepenista è costituzionalmente e politicamente plafonato dall'esistenza di un ampia maggioranza repubblicana "componibile". Per il nuovo FN vota un francese su quattro al primo turno, e poco più al secondo, dove socialisti e post-gollisti fanno valere il peso maggioritario della pregiudiziale, si sarebbe detto un tempo, "antifascista".

Non sappiamo quanto questa reiterata conventio ad excludendum possa durare e funzionare ed è d'altra parte evidente come il successo del nazionalismo radicale lepenista consolidi il tipico revanscismo francese anche nelle forze politiche tradizionali. Ma in Francia l'argine rimane solido e al momento insormontabile. Il lepenismo fa danni, ma non vince, deteriora la qualità della democrazia francese, ma non la egemonizza.

Non possiamo dire così dell'Italia, dove, come abbiamo già scritto, il voto lato sensu lepenista, nelle sue articolazioni grilline e salviniane, è un voto più vasto, profondo e paradossalmente mainstream. Non rappresenta un fronte antagonista e strutturalmente minoritario, ma un senso comune dilagante e trasversale, un modo di essere e di sentire culturalmente egemone, cui la retorica dell'antipolitica fornisce un linguaggio politico e un codice morale per certi versi "universale", che anche la politica istituzionale - quel che ne resta - è chiamata in qualche modo a rispettare e corrispondere, a partire dalla obbligata condiscendenza alla vulgata anti-europea.

In Italia non esiste un'ampia coalizione repubblicana, ma una dilagante maggioranza populista, che in un ballottaggio locale e nazionale potrebbe agevolmente coalizzarsi e prevalere, meglio se con il suo rappresentante più nuovo e post-partitico, il M5S. E' l'Italia, non la Francia, oggi il malato più a rischio della nuova sindrome politica europea, che mostra una sinistra ed evidente parentela con le tragedie del nostro passato recente.

Nel caso italiano, più ancora che in quello francese, a pesare non sono vincoli esterni - il disordine globale, l'immigrazione, il terrorismo, la "camicia di forza" delle regole europee... - ma debolezze interne e interiori di un Paese incline a sentirsi vittima innocente delle macchinazioni della storia e dei suoi protagonisti. Anche il populismo, come il fascismo, è un'autobiografia della nazione desolante, ma veritiera, un concentrato di umori, vizi e cattivi pensieri velenosamente "liberatori".

Non è affatto escluso che nelle urne - quando se ne darà l'occasione decisiva - non possa materializzarsi anche in Italia una "maggioranza silenziosa" più saggia e diffidente delle seduzioni populiste. Ma se oggi in Italia anche la politica è costretta a parlare con le parole dell'anti-politica per apparire "presentabile" non possiamo certo dare per scontato o per acquisito questo esito.

@carmelopalma