Merkel dito

Per capire quello che sta succedendo in Francia (ma anche in Italia, Spagna, Grecia e Gran Bretagna) bisogna guardare alla Germania, e cioè all'unico Paese europeo apparentemente immune da avanzate populiste di qualsiasi segno e toccato solo marginalmente dall'euroscetticismo.

E vi anticiperò subito dove va a parare questo articolo: se le classi dirigenti nazionali funzionano, se l'equità è più o meno garantita, se gli effetti della crisi sono tenuti a bada, se le prospettive di crescita e di mobilità sociale non isolano né radicalizzano i potenziali esclusi, se – insomma – il domani non sembra ai più peggiore dell’oggi, allora Le Pen, i Farage, gli Tsipras, gli Iglesias e i movimenti xenofobi (vedi Pegida) restano ai margini dello spazio pubblico, fenomeni di colore o poco più.

Insomma, piuttosto che indagare e colpevolizzare i comportamenti degli elettorati – una sindrome che sta accecando l'Italia – si vadano a guardare le responsabilità dei governi nazionali, perché se è vero – come ha scritto Carmelo Palma – che non si può dare sempre ragione ai vincitori, è anche opportuno riconoscere che i perdenti hanno sicuramente torto. Quando detieni il potere e non capisci i tuoi elettori, li tratti così male da suscitarne addirittura il disprezzo, pensi di cavartela con i piccoli trucchi della propaganda, e poi perdi le elezioni, te lo meriti. E devi risponderne senza nasconderti dietro i limiti e l’impresentabilità del vincitore.

François Hollande, ad esempio. Dopo anni di oscura navigazione, ha creduto di usare la rappresaglia per gli attentati di Parigi come rampa di lancio di una leadership rinnovata, armata e al centro delle “cose” europee. È stato l'arbitro di summit boriosi, in cui la massima decisione è stata la schedatura dei passeggeri negli aeroporti e un fantomatico giro di vite sulla libertà del web. Ha parlato di sospendere alcune garanzie costituzionali, senza spiegare quali. Ha detto “siamo in guerra” senza invocare i trattati Nato. Ha mandato i bombardieri in Siria, vantandosi di aver scelto i suoi obiettivi "in maniera autonoma", quasi ad esibire la sua indipendenza da qualsiasi alleanza internazionale.

È stata la reazione esibizionista e presuntuosa di un leader che avrebbe dovuto, piuttosto, spiegare che cosa facevano i suoi servizi segreti e la sua polizia mentre i terroristi del Bataclan ammucchiavano kalashnikov ed esplosivi, convocandosi tra loro con sms “in chiaro” e facendo avanti e indietro dalla Siria senza alcuna forma di controllo. Il Paese lo ha giustamente punito, non concedendogli quel recupero di voti che i sondaggi sulla sua “popolarità” dopo la reazione agli eccidi di Parigi gli avevano fatto sperare.

Le elezioni si possono a volte vincere sul filo di lana, negli ultimi giorni di campagna elettorale. Ma si iniziano a perdere molto prima, e non sono gesti eroici o plateali dell’ultimo minuto a potere rimediare ai fallimenti, che nel caso di Hollande datano da molto prima del Bataclan e non hanno tanto a che fare con la sicurezza e il terrorismo, ma con il declino e l’affanno del Paese sul fronte economico-sociale e con il fallimento delle politiche di integrazione.

Il caso francese è infatti la più chiara dimostrazione di come la tentazione populista non sia solo appannaggio dei Beppegrillo o delle Marinelepen, ma sia stata introiettata come sistema di governo dalle classi dirigenti, che invece di fare quel che loro compete – cioè assumere e esercitare responsabilità di governo e ottenere risultati decenti – immaginano ogni loro atto come un manifesto di propaganda.

Angela Merkel è forse l'unico leader europeo che si è sottratto a questa deriva. Nell'ultimo anno ha fatto cose impopolarissime. Chi non ricorda la severa risposta alla bambina palestinese che temeva di aver perso il diritto di asilo? O l'offerta ai profughi siriani, pronunciata mentre tutta Europa chiudeva loro le frontiere? O il progetto di class action annunciato subito dopo lo scandalo Volkswagen, la prima industria del Paese?

I sondaggi l'hanno punita un po', ma amen. Resta una leader amata e rispettata, di cui il Paese è orgoglioso, e in Germania movimenti populisti non se ne vedono, nemmeno all'orizzonte: le frange della protesta scelgono forme bizzarre, che fanno pure simpatia, tipo il Partito Pirata che ha preso seggi a Berlino e in un paio di Land.

Il rischio maggiore per la Merkel è di essere scaricata dal suo stesso partito, per l’eccessiva “generosità” dimostrata verso i profughi siriani: un altro esempio da manuale di populismo delle classi dirigenti, si potrebbe dire. Rimane però il fatto che la Merkel, che esercita una leadership vera, anche se in forme sobrie e non magniloquenti, affronterà questa sfida non cedendo a forme eroiche e gesticolanti di followership. Forse medierà, ma non rinnegherà gli impegni.

Angela Merkel è insomma la sola vera alternativa a Marine Le Pen, non solo perché è diversa da lei, ma innanzitutto perché è stata diversa, sul piano della serietà, della concretezza e dei risultati conseguiti, dai tanti politici di governo che il lepenismo, in Francia e fuori dalla Francia, è destinato a ridicolizzare e spazzare via.

Allora, volendo difendere l'Europa, come qui su “Strade” si è determinati a fare, bisogna difenderla innanzitutto da governi che inseguono ogni umore delle opinioni pubbliche, ma sono incapaci di entrare in sintonia con esse: come innamorati-stalker che ti mandano dieci mazzi di fiori al giorno, e alla fine vorresti sparargli per liberartene. Governi, oltretutto, infingardi: non c'è un leader che non abbia reagito alla vittoria della Le Pen dicendo “l'Europa cambi rotta”, come se fossero responsabilità europee il disastro delle periferie, il blocco dell'ascensore sociale, la contrazione dei servizi essenziali, la povertà dei giovani e delle donne, le quote crescenti di corruzione in ogni prestazione erogata dal pubblico.

L'Europa, se per paradosso fosse il totem, l'entità suprema, il moloch che s’immaginano alcuni – una specie di Quarto Reich occulto e potentissimo – prenderebbe a calci questi servitori cialtroni e se ne libererebbe in un minuto. Il fatto stesso che siano ancora lì dimostra che il moloch non esiste (e mi verrebbe da aggiungere: purtroppo).