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Dopo l’attentato a Parigi, così come dopo tutti gli altri attentati di mega-terrorismo, l’opinione pubblica esprime una gran voglia di rivoluzione. Un corale “adesso si cambia tutto” perché nulla di simile accada più in futuro. Prima, però, si dovrebbe vedere cosa è accaduto e perché.

Perché tre commando di jihadisti, fra loro coordinati, sono riusciti a compiere, nel cuore di una capitale europea, una razzia da predoni del deserto? Come hanno fatto a portare un pezzo di guerra siriana nella Ville Lumière? Questo attacco era stato praticamente già annunciato dalla rivista Dar al Islam, che diffonde in lingua francese la propaganda del Califfato. Nel numero 6 della rivista si leggeva: “Noi scriviamo queste righe nel momento in cui il governo francese proclama sui mezzi di comunicazione che vuole ampliare la sua guerra contro lo Stato del Califfato. (…) oggi i governi crociati in mano agli ebrei usurai incitano gli idolatri sciiti e democratici dell’esercito libero o altri a combattere il Califfato.” Più specificamente: “Preparate, contro di loro [i francesi, ndr], tutte le forze che potrete raccogliere e i cavalli addestrati, per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati.” Segue un breve tutorial in cui si spiega quali armi usare: non i “cavalli”, sicuramente, ma cinture esplosive, granate e kalashnikov, quelle poi effettivamente impiegate nell’attacco a Parigi.

La rivista Dabiq, la voce internazionale del Califfato, aveva dedicato il suo secondo numero alla Francia: “Che Allah maledica la Francia”. “Nessuno può ignorare che la Francia è abitata da un odio sordo e irrazionale contro l’Islam e i musulmani che l’ha spinta a porsi al comando della coalizione contro il Califfato”. Uno jihadista tunisino, Abou Mouqatil al-Tounsi, sempre su quel secondo numero di Dabiq, spronava alla lotta ai “fratelli” in Francia: “Per Allah, dovete risvegliarvi e combatterli, se solo vedeste quel che fanno con i loro aerei, come terrorizzano le nostre donne e i nostri bambini. […] Li incito a seguire la via dei fratelli che hanno condotto delle operazioni laggiù. Le armi sono facili da reperire in quei paesi. Riponete la vostra fiducia in Allah. Consiglio loro di non scegliere obiettivi specifici. Uccidete chiunque. Tutti i miscredenti sono per noi degli obiettivi. Non ti affaticare a cercare obiettivi specifici. Uccidi qualsiasi miscredente”.

Questi articoli, anche se non costituivano un’esposizione chiara del piano e un elenco di obiettivi da colpire, fanno però comprendere quale sia la causa immediata (i raid francesi sulla Siria) e quella profonda (la laicità e il presunto odio contro l’Islam) di un attacco alla Francia. Parigi, nella rivendicazione, è stata successivamente indicata come la “capitale di tutte le perversioni”. Tutti i francesi, indistintamente, sono considerati bersagli legittimi. Il massacro nel teatro Bataclan, viene giustificato come un’irruzione in una “festa di perversioni”, come avviene anche all’interno dei regimi islamici quando vengono scoperte e smantellate feste abusive. L’attentato presso lo Stadio di Francia, è descritto come un attacco al match fra due “nazioni crociate”, cioè Francia e Germania. L’obiettivo è sempre quello, come l’11 settembre e negli attentati più celebri in Europa: colpire simboli e luoghi di ritrovo della società aperta e laica, che nella filosofia dei radicali islamici è equiparabile moralmente all’idolatria diffusa nel “politeismo pre-islamico”.

Gli obiettivi specifici erano prevedibili? In almeno due casi sì. Lo Stadio di Francia, con decine di migliaia di spettatori al suo interno, incluso il presidente Hollande, era il classico obiettivo sensibile. In effetti, va detto, l’attentato di tre uomini-bomba nei pressi del centro sportivo hanno provocato il minore dei danni nella notte del venerdì 13. Quel che realmente si poteva prevenire era piuttosto il massacro del teatro Bataclan, il più sanguinoso in assoluto. Il Bataclan, parrà incredibile, era un obiettivo sensibile. Aveva ricevuto minacce dai palestinesi nel 2008, per aver ospitato una festa della guardia di frontiera israeliana. Era stato ancora minacciato di attentato dai radicali islamici di Jaish al Islam nel 2011, sempre perché i suoi proprietari, ebrei, organizzavano manifestazioni in solidarietà con Israele. Nella notte del venerdì 13, suonava il gruppo metal californiano Eagles of Death Metal. Erano un obiettivo sensibile anche loro? In un certo senso sì. Non, come si potrebbe pensare inizialmente, perché metallari, dunque automaticamente “satanisti” agli occhi di tutti gli integralisti religiosi. Ma, anche in questo caso, per il loro legame con Israele. L’estate scorsa erano andati a tenere un concerto nello Stato ebraico, nonostante tutti gli inviti, quasi intimazioni, al boicottaggio. Per questo motivo, il leader del gruppo, Jesse Hughes aveva anche litigato con Roger Waters (Pink Floyd), uno dei maggiori boicottatori di Israele. Il Bataclan e gli Eagles of Death Metal, dunque, erano obiettivi sensibili. E non sono stati protetti.

Il momento dell’attentato era prevedibile? Il servizio segreto francese, a quanto pare, non ne era del tutto all’oscuro. All’inizio di novembre aveva pubblicato un report in cui metteva in allarme su possibili attentati jihadisti “incrociati”: terroristi residenti in un paese europeo che ne colpiscono uno vicino, in modo da sfruttare sia le frontiere aperte dell’Ue, sia la mancanza di cooperazione fra intelligence nazionali. Sono altri elementi, questi, che mettono a nudo gravi debolezze della sicurezza europea. In effetti, tre dei terroristi provenivano dal Belgio, uno dei quali, Abdeslam Salah, è l’unico ancora sopravvissuto e in fuga. I terroristi erano rintracciabili? Almeno uno di loro sì, il primo identificato: Omar Ismail Mostefai, oltre ad avere la fedina penale sporca per piccoli reati, era già conosciuto dai servizi sociale per la sua radicalizzazione. Cresciuto nelle banlieue parigine, si sospetta che abbia anche avuto un’esperienza di guerra in Siria nel 2014.

L’attentato in Francia poteva essere previsto e prevenuto? Sì, come tutti gli altri. Anche se è facile dirlo solo col senno di poi, era evitabile. Quale potrebbe essere stato l’errore dei solitamente efficienti servizi segreti francesi? Come dimostrano gli appelli sulle riviste del Califfato e sette anni di minacce al Bataclan, i servizi devono aver peccato di sottovalutazione. Adesso è tanto inutile quanto dannoso invocare una riduzione della nostra libertà, a partire dalla libertà di movimento, così come è altrettanto inutile e dannoso invocare fantasmagoriche alleanze mondiali, come quella proposta da Silvio Berlusconi (con Russia, Iran, India, Cina e tutto il resto del mondo) contro l’Isis. Si deve partire dalla correzione di errori molto più piccoli. E c’è evidentemente un piccolo errore, dalle conseguenze immense, che si continua a ripetere dall’inizio della guerra al terrorismo: sottovalutazione della propaganda jihadista. Perché, invece, quando il cane del Califfo abbaia, vuol dire che sta per mordere. Ed è una lezione che deve valere anche per noi: la città più citata e minacciata di distruzione in tutti i proclami dell’Isis è Roma.