Elez Polonia

I cittadini polacchi hanno votato e scelto di riportare al governo la parte più nazionalista e critica, fino all'ostilità, nei confronti dell’Unione Europea. Recriminare, per noi che pensiamo che l'Europa Unita rappresenti invece il futuro migliore per i cittadini del Vecchio Continente, sarebbe inutile. Il punto deve essere quello della reazione politica.

L'onda nazionalista ed anti UE è un movimento tutto politico, che agita sentimenti e risentimenti profondi e che offre, con la chiusura di frontiere e identità, l'illusione di arginare la storia. Bruxelles, per gli interpreti di questo movimento, è il capro espiatorio perfetto. Costoro fanno il proprio gioco, senza esclusione di colpi.

Noi, incapaci di parlare all’opinione pubblica europea con analoga chiarezza, finiamo per giocare con le loro regole alla demonizzazione della UE e alla banalizzazione della storia e dei grandi fenomeni del nostro tempo: la crisi migratoria è un fenomeno con cui la società europea farà i conti almeno per alcuni decenni, non è un “errore” di qualche grigio burocrate; le difficoltà di crescita e competitività dell’Europa affondano le loro radici nel modello fiscale e sociale degli Stati europei, non certo nelle fantomatiche regole sulla dimensione dei cetrioli o dei bulloni.

La burocrazia può essere o non essere un ostacolo per le imprese europee o per una politica di riforme - a Bruxelles come a Varsavia, al Berlemont come a palazzo Chigi o al Campidoglio - ma vale l’antico detto: se discutiamo del dito, perderemo di vista la luna.

Se agli attacchi dei nazionalisti ci limitiamo a rispondere che sì, che forse a Bruxelles le cose vanno migliorate, facciamo esattamente il loro gioco. Diventiamo timidi assertori di messaggi e idee che loro interpretano con maggior efficacia. Se, di fronte alla massa di rifugiati che premono ai confini dell'Europa, non abbiamo il coraggio di affermare che a questo fenomeno non sfuggiremo con facili proclami e soluzioni semplicistiche, finiamo per avvalorare le loro tesi.

Stessa cosa se non abbiamo il coraggio di dire apertamente agli amici d’Oltremanica, o a quelli che un tempo vivevano oltre la cortina di ferro, che additare l'Unione Europea come il problema riapre le porte a un passato di chiusura e di divisione, cioè esattamente l'Europa come la conoscevamo prima del processo di integrazione, un insieme di stati perennemente l’un contro l’altro armati. Bisogna saper dire - a chiare lettere - che senza l’Unione Europea diremmo addio al mercato unico e alle sue enormi opportunità, che hanno fatto prosperare rapidamente società come quella polacca, che solo dieci anni fa erano ancora arretrate ed economicamente isolate. Insomma, bisogna saper affermare una nuova e forte visione europeista.

Nessuno può illudersi che sia possibile uscire dalla UE e restare nel mercato unico: non è e non sarà così. Nessun pasto è gratis, nemmeno politicamente. Chi vota contro l'Europa deve sapere che le conquiste sulla libertà economica e di movimento hanno un costo politico, quello di fare dell'Unione il nostro luogo e destino comune. Un costo relativamente piccolo per un beneficio tanto grande quanto sottovalutato dai cantori del populismo nazionalista.