La legge di stabilità che l'esecutivo ha varato ieri non ha probabilmente alternative migliori e sicuramente ne ha molte di peggiori, intendendo "migliore" e "peggiore" secondo la misura del rispetto sostanziale dei vincoli politico-finanziari impliciti nella situazione italiana. La marcia indietro sulla flessibilità pensionistica, che pure a Renzi avrebbe fatto gran gioco, è un segno di questa prudenza. L'operazione simpatia del governo - con il solito corredo di tweet, slide e retoriche motivazionali - non è irresponsabile e svaccata, come quella che tutti gli oppositori (interni ed esterni), a prendere sul serio le cose che dicono, avrebbero messo in campo. È molto poco, ma anche moltissimo, a seconda dei punti di vista.

Dal Consiglio dei Ministri è quindi venuta fuori una proposta coerente con i caposaldi della Renzinomics, per come l'abbiamo imparata a conoscere. Grandi e pesanti rottamazioni normative, per sbrigliare l'attività economica, ma piccoli e circoscritti interventi al margine sui grandi capitoli della spesa pubblica e sui caratteri strutturali del sistema-Italia.

Non è casuale che Renzi non abbia avuto paura di rivoltare come un calzino la legislazione sul lavoro o sfidare il moralismo fiscale della sinistra PD sul tetto ai contanti, ma continui a traccheggiare sul programma della spending review, sulla "civilizzazione" dell'apparato pubblico e sulle (vere) liberalizzazioni e privatizzazioni. Non c'è solo furbizia, ma autentica persuasione nell'idea che l'Italia si possa salvare solo così com'è - togliendo di mezzo tutto quello che l'intralcia e le impedisce di esprimere fino in fondo il suo potenziale - ma non cambiando pelle, abitudini e soprattutto "natura". Questo, non la consonanza sull'una o l'altra issue programmatica (la prima casa, il contante, eccetera...), è il tratto più autenticamente "berlusconiano" del premier.

Impegnata in una duplice e complicata partita sul fronte nazionale ed europeo, la coppia Renzi-Padoan ha confezionato un prodotto politicamente spendibile su entrambi i tavoli, non esagerato nelle pretese avanzate a Bruxelles, e particolarmente sexy per un elettorato, come quello italiano, che ha storicamente dimostrato di preferire i benefici visibili e particolari, anche se apparenti, a quelli invisibili e indiretti, ma più realisticamente generali.

Il presidente del Consiglio, come tutti i suoi predecessori (tranne uno), non è uscito (né intende uscire) dalla logica della democrazia di scambio, per cui l'attività di governo è un insieme di "prestazioni politiche" di cui il voto costituisce il compenso diretto e personale. D'altra parte l'unico che, per ragioni di necessità oltre che di convinzione, ha provato a cambiare logica, Monti, è finito letteralmente massacrato dall'impresa e irriso per le sue velleitarie ambizioni pedagogiche.

Rimane però il fatto che il declino italiano, dal punto di vista economico e civile, parte proprio da questo cortocircuito tra esigenze di consenso e necessità di governo e dalla rimozione del carattere anche "morale" di questa relazione e dei suoi esiti. Pure in questo l'esempio del Cav. - di cui l'attuale premier meritoriamente rifiuta una lettura puramente criminologica - più che ispirare Renzi, dovrebbe preoccuparlo. Troppo a lungo in bilico sul piano inclinato dell'ottimismo a prescindere è davvero difficile rimanere, anche se si ha un fisico politicamente bestiale.

@carmelopalma