Grecia elezioni

Le notizie di questi giorni sulla crisi greca sono contrastanti. Non è chiaro se l'accordo per il terzo bailout è stato raggiunto o meno, e non si capisce nemmeno quali siano i termini reali delle trattative. Si sente parlare di nuovi obiettivi di finanza pubblica, di impegni a dismettere patrimonio e a privatizzare da parte di Atene in cambio del pacchetto di aiuti (quasi 90 miliardi di euro). Pare che il governo greco si stia impegnando ancora una volta a conseguire obiettivi di saldo primario e a vendere, sotto la stretta supervisione della Troika, asset pubblici tra i quali importanti società di servizi.

Nessun cenno, invece, alla ristrutturazione del debito pubblico della Grecia. Eppure il Fondo monetario internazionale l'aveva chiesta con forza fino a un paio di settimane fa. Ritenendo, non a torto, che per la Grecia si tratta della sola via di uscita definitiva da una crisi economica e finanziaria che ormai si auto alimenta anche a causa del continuo ricorso alle misure di austerità. Misure imposte nel tentativo di conseguire obiettivi finanziari che poi vengono sistematicamente mancati.

Se le cose stanno così, significa che la crisi della Grecia viene messa di nuovo in stand-by fino a quando, tra non molto tempo, due anni al massimo, essa potrebbe ripresentare nuovamente il conto. La linea del rigore finanziario, dunque, starebbe per avere la meglio sulla posizione del Fondo monetario internazionale, che solo poche settimane fa aveva addirittura negato di voler prendere parte al nuovo salvataggio in queste condizioni. Perché considera il debito pubblico greco ormai insostenibile.

Il motivo per cui i tedeschi non voglio concedere un nuovo taglio del debito ad Atene è chiaro: temono di incrinare, così, la credibilità della disciplina fiscale, e che la clemenza per i Greci si traduca presto in richieste simili da parte degli altri PIIGS. A essere onesti, la posizione della Germania e degli altri paesi continentali non è campata per aria. Penso che abbandonare l'impostazione della disciplina fiscale determinerebbe di fatto la frantumazione dell'area euro. La moneta unica, senza il rigore finanziario, non sopravviverebbe con la attuale architettura economica e istituzionale europea, e soprattutto nelle condizioni attuali dell'economia e della finanza mondiale. Per scongiurare questo scenario, il ministro tedesco Schaeuble a luglio aveva avanzato l'ipotesi di grexit per cinque anni (con intento probabilmente punitivo) piuttosto che mettere in discussione il rigore finanziario.

Nemmeno si può dare torto al Fondo, quando sottolinea che un altro bailout senza ristrutturare il debito non scongiura affatto l'ipotesi di grexit con tutte le conseguenze, anche geopolitiche, che si porterebbe dietro: anzitutto l'ipotesi della Grecia che esce dall'orbita NATO per finire dritta nelle braccia di Putin, cosa che farebbe inorridire l'azionista di maggioranza del Fondo, cioè gli USA. Inoltre, il bailout senza ristrutturazione mantiene sulla testa della Grecia la spada di Damocle di un default incombente e tutta l'incertezza che ne deriva, con riflessi deleteri sul tessuto economico e civile del paese. In un clima che frena i consumi e gli investimenti, soprattutto i potenziali investimenti dall'estero.

E in verità, proprio le performance deludenti del programma di privatizzazioni sono la prova di come questo perdurante clima di incertezza stia giocando negativamente sulle prospettive dell'economia greca. Le privatizzazioni sono in stallo non solo e non tanto per il blocco formale imposto da Syriza dopo la vittoria alle elezioni di gennaio. Da oltre tre anni la Grecia ha messo in vendita importanti società pubbliche, tra cui l'acqua e l'elettricità. È sempre il FMI a notare che dal programma ci si aspettavano incassi per circa 13 miliardi di euro. E invece secondo le nuove previsioni, nelle attuali condizioni ce ne saranno poco più di due.

Senza una nuova ristrutturazione del debito la Grecia è un paese costretto a vivere in una specie di limbo sotto la minaccia del default., come uno zombie finanziario con il destino sospeso. Ma in un paese con il destino sospeso, sempre con la paura di nuovi tagli al bilancio e aumenti di tasse, non si consuma e non si investe. Di investitori esteri interessati a società di servizi importanti ce ne sono, alcuni di essi hanno un nome e un cognome, e le modifiche al codice civile (in materia di commercio e fallimento) richieste con urgenza al governo greco, probabilmente servono proprio a farli “accomodare meglio”. I capitali però per il momento restano a guardare dalla finestra, finché le nebbie dell'economia reale non cominceranno a diradarsi. Solo allora le prospettive di profitto di queste utilities saranno chiare e potranno essere prese le decisioni di investimento. Nelle società di servizi pubblici così come in quel poco di settore privato greco superstite della crisi.

Entrambe le posizioni, quella tedesca e quella del Fondo, sono dunque condivisibili. È il dilemma che tiene appesa la vecchia Europa di Maastricht. Un dilemma e che emerge dallo scontro di due visioni contrapposte. La prima vorrebbe una Europa più integrata, con meno disparità economiche in termini di ricchezza e di PIL pro-capite. Era uno degli obiettivi principali dell'Unione economica e monetaria alla fine del secolo scorso. Dopo la capitolazione di Tsipras è ridotto a poco più di un ideale romantico. Ma resiste ancora. La seconda visione prende atto di come l'economia e la finanza mondiale stanno evolvendo. Chi la sostiene è convinto che l'attuale configurazione dell'euro vada difesa come una specie di fortezza, necessaria a sopravvivere in un mondo dove solo poche valute forti, espressione di poche economie forti, resisteranno insieme ai paesi che vi sono agganciati.

Non è ancora chiaro quale di queste due visioni è destinata a tramontare, né come verrà risolto il dilemma. Ma non mi stupirei se questa specie di limbo fosse solo il preludio a una Europa dove, come nel resto del mondo, l'economia sarà governata da pochi centri e disseminata di tante semi-periferie e periferie.

Due visioni plausibili, due posizioni condivisibili che danno vita a un dilemma, a un crocevia della storia. Comunque andranno le cose, è chiaro che la Grecia sta solo trattando i termini della propria resa.