Marino daje

Quando apparve sulla scena delle primarie romane fu immediatamente chiaro che Marino era un cammellato. Un oscuro segreto? No, bastava leggere serenamente i giornali locali, mai smentiti, ed osservare la folla plaudente di capi e capetti di periferia alle sue performance iniziali.

E bastava anche notare come un uomo, in grado di condizionare solo il proprio voto e (forse) quello della moglie, avesse raccolto in un attimo migliaia di firme per la propria candidatura. Sono cose che succedono, anche molto onestamente, ma si fanno solo se hai una forte organizzazione e un robusto insediamento alle spalle. Marino aveva quelli - tutt'altro che invisibili o non dichiarati - di Goffredo Bettini, già leader dei DS romani sin dai tempi di Rutelli e Veltroni.

Vinto il ballottaggio con il pallido Alemanno, Marino ha pagato pegno lottizzando la Giunta ed i posti nella macchina amministrativa e delle municipalizzate con innesti sorprendenti. Per qualcuno, la stupefacente carriera del gambero. Una parlamentare (la brava Marta Leonori) candidata alla Camera per risarcire il marito (sempre PD) falcidiato nella gestione regionale di “Batman” Fiorito, è andata a fare l'assessore e ha lasciato Montecitorio a favore di Marco Di Stefano, contro-falcidiato poi in aula per operazioni immobiliari della Regione Lazio.

Insomma, Marino parte male. Poi probabilmente inizia a sentirsi accerchiato, mentre il PD nazionale cambia volto. Così il Sindaco ritiene di potere diventare il demiurgo di una soluzione complicata, lavorando da solo con una cerchia ristretta e modesta di collaboratori e scendendo in guerra col mondo. Cosa possibile se hai statura politica, leadership e autonomia, uno staff eccezionale e preparato e solide alleanze che ti sosterranno quando lo scontro si farà duro. Tutte cose che Marino né era, né sarà; né aveva, né avrà.

Così Marino comincia a litigare con tutti. Con gli assessori politici, con i tecnici scelti da lui, con le municipalizzate, con il governo regionale e nazionale, con il prefetto. E nel frattempo inizia a pretendere, senza mettere in ordine in casa. Gli arrestano dirigenti ed assessori? Pretende i fondi per il Giubileo senza spiegare come e dove li spenderà, in coordinamento con chi e con quali obiettivi.

In questi casi un coordinamento è essenziale, come lo fu nel 2000. Non servono poltrone e strutture ma un paio di cardinali, qualche prefetto e vigile del fuoco e magari uno del governo che spieghi in parlamento a quelle belve dei parlamentari non romani come e perché la capitale (giustamente) abbia bisogno di un contributo straordinario.

Mentre la magistratura fa un secondo giro di arresti (e le malelingue parlano di un terzo) Marino riesce a litigare con due assessori al bilancio, una proveniente dalla Corte dei Conti e una dall’Anci. Considerate ostiche, ma brave. Ora, se ti scegli come assessore una donna rigida e coriacea, non puoi pretendere di sforare il patto di stabilità – come ha accusato la dimissionata Silvia Scozzese sui giornali – senza una straordinaria forza politica. Lo puoi fare portando tutto il Consiglio Comunale a Palazzo Chigi con le pentole (e mettendoti d’accordo prima con l’inquilino).

Ma se hai i ladri dentro casa e non te ne sei accorto, litighi con tre quarti della tua Giunta, inclusi i tecnici, cacci i Cda delle municipalizzate dopo avere scelto tu i curriculum ed avere detto che sono i migliori, qualche problemino c’è.

E l’effetto odierno è che nessuna persona sana di mente e con qualche capacità ha voglia di impegnarsi politicamente e professionalmente nella sua amministrazione. Politicamente, perché ormai è chiara la discesa agli inferi, incluso il rischio di qualche malanno giudiziario; professionalmente perché i compensi sono modesti e uomini di esperienza e capacità non accettano più di essere gettati in un frullatore per dodici ore al giorno per sei giorni su sette senza un compenso che – sul tanto deprecato libero mercato – otterrebbero unito al ringraziamento del dante causa.

Ricordate la vicenda della Panda rossa? Una storia banale di multe per divieto di sosta e permessi scaduti. Capita a tutte le persone per bene di sbagliarsi. Marino no. Accusò ignoti di pirateria informatica, di macchinazione e persecuzione. Poi alla fine pagò le multe, dicendo che era ingiusto. Ecco, la sindrome di Napoleone. Pensare di poter comandare il mondo da soli e ritrovarsi a non capire nulla di quello che succede attorno a quella solitudine. Con un pizzico di isteria.

Siamo allora al tracollo finale della capitale per damnatio Marini (genitivo II declinazione…)? Ebbene no, perché come nel 1993, post Carraro, all’avvento di Rutelli, la città è provata ma ha un tessuto economicamente vivo. Turismo, accoglienza, servizi, innovazione, università, attrazione dell’immigrazione. Roma non ha i problemi di alcune città industriali del nord (Genova e Torino, ad esempio) che devono reinventare la propria mission. Roma è un paradosso. Non è una città economicamente allo sbando, ma ha un'amministrazione sbandata, mentre altre città decisamente più alle corde hanno amministrazioni più efficienti, o che appaiono comunque più "in controllo".

Roma ha bisogno di una colossale riorganizzazione da realizzare con il parallelo abbattimento delle rendite corporative annidiate nei sindacati, nella politica delle preferenze e del voto e delle assunzioni di scambio, nelle municipalizzate decotte, nell'amministrazione corrotta. Nulla di più difficile. Ma è un lavoro di cervello e di coordinamento. Non va "rifondata", Roma, va decentemente governata.

Olimpiadi, Giubileo del 2025, congressi e mostre di livello mondiale; per questi appuntamenti si deve lavorare in termini di infrastrutture di rete e di coordinamento e non solo di grandi opere, che comunque serviranno, ma in misura marginale. Forse la più grande sconfitta culturale di Marino è non avere utilizzato la chiusura dei Fori Imperiali per realizzare il grande parco archeologico del Colosseo e dei Fori ma avere lasciato uno stradone desolato in mano ad ambulanti e centurioni. Questo sì, un errore imperdonabile, ma a suo modo esemplare dell'immagine e del fallimento di un'amministrazione.