SYRIZA

- Excuse me, General, but what about the fucking money?
- There is no fucking money.
[…]
- This mission was based on the threat of force.
- We bluffed. They called it. The mission's over.

A tendere l’orecchio, potrebbero essere le parole che si stanno scambiando in queste ore i più alti ufficiali di Syriza nei palazzi della politica ateniese, mentre il giorno della verità, inesorabile, si avvicina e l’IMF annuncia che il debito dovuto non è stato ripagato in tempo, catapultando così la Grecia nel poco invidiabile club che comprende Sudan, Somalia, Iraq e Zimbabwe.

Sono, invece, le battute finali del film The Rock, in cui un gruppo di soldati dell'esercito americano si impadronisce di letali armi chimiche e, asserragliato sull’isola di Alcatraz, minaccia poi di distruggere la città di San Francisco se il governo non pagherà ingenti somme come risarcimenti alle famiglie dei caduti in guerra. Tuttavia, al momento topico del lancio del primo missile, il generale Hummel (Ed Harris) cambia le coordinate prestabilite ed il missile cade in mare senza colpo ferire. Segue la rivolta dei suoi sottoposti e lo scambio riportato sopra, dove Hummel ammette che l’intera missione era fondata su di un bluff e sulla speranza che la controparte, presa da terrore, ci cascasse e cedesse al ricatto.

Since coming to power in January, the Greek government, led by Prime Minister Alexis Tsipras’s Syriza party, has believed that the threat of default – and thus of a financial crisis that might break up the euro – provides negotiating leverage to offset Greece’s lack of economic and political power

ha scritto Anatole Kaletsky.

Anche la missione del generale Tsipras, sin dall’inizio, era fondata su un bluff: l’idea che minacciando il default unilaterale e la distruzione dell’eurozona si potessero estrarre (o forse estorcere) ai partner europei concessioni compatibili con un programma elettorale che compatibile con la permanenza della Grecia nel club dell’euro non lo è mai stato nemmeno per un momento.

Per parte nostra, ad aprile sottolineammo la seguente cosa:

Per molti versi, il prolungato stallo in cui è caduta la questione ellenica si origina nella promessa impossibile della campagna elettorale di Tsipras, il quale, sostenendo di voler cancellare la gran parte degli accordi e delle riforme sottoscritte dai suoi predecessori, senza però mettere in discussione l'appartenenza all'Unione Europea e, soprattutto, all'area monetaria, si è praticamente cacciato da solo ab initio nel vicolo cieco da cui ora fatica ad uscire, dove ora sembra intrappolato. Prendere il potere, in altre parole, può essere molto più facile che saperlo (o poterlo) poi esercitare.

Quella originaria contraddizione ora sembra pronta ad abbattersi su Syriza e compagni in tutta la sua forza. Il punto non è tanto stare a discutere del se e del quanto un default greco con eventuale uscita dall’euro potrebbe impattare il resto del continente (anche se è certo un argomento molto importante, ovviamente, su cui peraltro ognuno sembra avere una sua diversa idea). Il punto è che il piano è fallito. Ed è fallito perché la sproporzione tra ciò che accadrebbe al resto dell’Europa e ciò che accadrebbe alla Grecia stessa - le banche chiuse sono solo un primo assaggio - è comunque tale da rendere la minaccia non credibile. Non credibile anche perché, comprensibilmente, il popolo greco non è pronto a suicidarsi.

In apparenza il referendum - tralasciando i modi ed i tempi ancora una volta dilettanteschi scelti dal governo - è il tentativo estremo di rilanciare il monito di distruzione. In realtà, è il momento in cui Tsipras ha di fatto ammesso di essere nella posizione di Hummel, il suo modo di confessare che mission’s over, io non ho il coraggio di fare ciò che ho a lungo minacciato

Sui media greci seguitano a circolare voci di nuove proposte che Atene vorrebbe portare all’Eurogruppo prima di domenica, segno che la fiducia in un esito della consultazione coerente con le indicazioni fornite ai cittadini vacilla.

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Ma ieri Angela Merkel ha chiarito che è tardi, ormai Tsipras ha fatto all-in e si va a vedere le carte; la trattativa - a meno di improbabili miracoli dell’ultimo minuto, che rappresenterebbero in ogni caso un incredibile voltafaccia greco al limite del ridicolo, dopo il modo brutale in cui è stato convocato il referendum solo pochi giorni fa - è chiusa fino a dopo il voto. Ed è auspicabile e coerente che sia così, che non ci siano tentennamenti europei, giunti a questo punto: è l’ultima strada - non sarà semplice nemmeno quella, ma è l’ultima - rimasta per rimuovere l’incertezza e sperare di riprendere il confronto da zero e su nuove basi, anche di reciproco rispetto. Troppo compromessi sono i rapporti, non ultimi quelli personali. Detto altrimenti: la Grecia si salverà, Alexis Tsipras no.

Ieri gli analisti di RBS hanno pubblicato uno schema che riassume piuttosto bene i vari scenari possibili. Come si vede, in nessuno di essi, in pratica, l'attuale governo rimane in sella.

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Certo, si dirà che la democrazia è stata calpestata ancora una volta, un governo illegittimo nuovamente insediato dai burocrati di Bruxelles, qualcuno griderà al colpo di Stato, perfino. Argomenti che abbiamo già sentito molte volte e che non si vogliono discutere qui. Qui il tema era la (sempre più probabilmente) breve parabola di un leader che molti, anche fuori dalla Grecia, anche in Italia, avevano incautamente salutato come una sorta di liberatore, un eroe capace di strapparsi di dosso la camicia di Nesso dei vincoli europei, per far rinascere il socialismo ellenico.

Un leader che si accompagna ad un noto esperto di teoria dei giochi, ma che forse non ha letto Sun-Tzu: “ogni battaglia è vinta prima ancora di essere combattuta”. Le debolezze e le contraddizioni insite nella sua proposta politica e visibilissime già a gennaio avrebbero dovuto suggerirgli una molto maggiore prudenza.