La lotta politica democratica vive di alternanze e anzi fa di questa alternanza, come si sa, un regolatore fondamentale dell'efficienza del sistema. La notizia di un cambio della guardia nella guida presidenziale della Polonia, dopo otto anni di gestione liberale, non dovrebbe dunque suscitare particolare clamore o addirittura apprensione. Si tratta perciò, in termini generali, di un fatto fisiologico. Che però rappresenta anche un segnale politico di carattere sia locale sia europeo.

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Cosa c'è di prettamente nazionale nel voto di ieri, che ha portato all'elezione a Presidente della Repubblica di Polonia il giovane Andrzej Duda (42 anni) del conservatore partito PiS - Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e Giustizia)?

La storia politica della Polonia contemporanea è sempre stata caratterizzata da un duplice movimento: forte patriottismo unitario e feroce bipartizione tra programmi e linee politiche. Una faziosità che talvolta raggiunge la stessa asprezza che affligge da sempre l'arena politica italiana. Dopo la rinascita dello Stato polacco nel 1918, il contrasto tra i progressisti (socialisti e laici di cultura massonica) di Piłsudski e i nazionalisti-populisti della Narodowa Demokracja (Democrazia nazionale), sfociò nel colpo di Stato operato da Piłsudski nel 1926, che ebbe tra l'altro dei contraccolpi gravi nell'Urss di Stalin (tra cui la persecuzione dei polacchi sovietici). Piłsudski incarnava infatti una politica ostile ai sovietici, mente la Narodowa Demokracja era favorevole ad una pacificazione al fine di mettere in sicurezza il confine orientale con l'Urss stabilito con la pace di Riga (1921). Una prospettiva illusoria, come dimostrato dall'invasione sovietica della Polonia orientale del 1939.

Nel periodo della dittatura comunista, la Polonia si divise tra coloro che accettarono il nuovo regime e coloro che (emigrando o fuggendo in Occidente, subendo carcerazione od ostracismo sociale, ecc. ) vi si opposero in modo intransigente. Una figura leggendaria dell'opposizione anticomunista fu quella del pittore e politico Henryk Józewski, un collaboratore di Piłsudski, originario dell'Ucraina e che fu governatore della Volinia polacca negli anni Trenta; Józewski visse in clandestinità fino al 1953, quando fu arrestato dalla polizia politica del regime comunista polacco (alla biografia di Józewski è dedicato il bel libro di Timothy Snyder, Sketches from a Secret War).

Oggi quasi nessun partito politico polacco è disponibile a barattare una presunta sicurezza nazionale con concessioni alla Russia; anzi, Diritto e Giustizia ha vinto le elezioni presidenziali con un programma di rafforzamento della presenza Nato in Polonia. Si tratta di un elemento politico importante poiché le prerogative presidenziali sono soprattutto in materia di politica estera e di difesa. Le divisioni attuali rimontano in parte al periodo comunista, dal momento che i conservatori raccolti attorno al partito Prawo i Sprawiedliwość sono gli eredi dell'intransigentismo anticomunista e premono per l'emarginazione, attuale o della memoria, di coloro che hanno collaborato col regime comunista. Inoltre, Diritto e Giustizia è erede in qualche modo di un certo isolazionismo e di un sentimento anti-tedesco che era tipico sia dei nazionalisti sia del clima politico della Polonia comunista, mentre i centristi liberali, usciti sconfitti dalle elezioni, avevano intavolato per la prima volta nella storia della Polonia contemporanea un rapporto di stretta alleanza con la Germania. Infine, sebbene la presidenza della Repubblica non abbia competenze nell'ambito della politica economica, molti osservatori fanno dipendere il risultato elettorale dallo scontento di vasti strati di popolazione che ritengono di non aver goduto dei frutti della crescita economica garantita dalle politiche liberiste del governo centrista e filo-europeo.

Sono dunque evidenti i riflessi importanti di questa tornata elettorale polacca sulla politica europea e internazionale. Si tratta della quarta sconfitta di fila (dopo Tsipras, Podemos e le elezioni inglesi) dei partiti nazionali che appoggiano (o che sembrano non contrastare) la governance tedesca in Europa. Che, anche a causa della scarsa opposizione europea all'aggressività russa, abbia perso le elezioni il primo governo polacco della storia che sia alleato della Germania, dovrebbe impensierire non poco la cancelliera Merkel e i decisori della politica tedesca verso il continente europeo. C'è n'è ormai abbastanza per dare ragioni a chi sostiene che la Germania veleggi verso la sua terza sconfitta storica nel giro di un secolo.

Ciò che le quattro citate tornate elettorali sembrano poi mettere in discussione sono le politiche economiche globali condotte dall'Unione Europea. Non è il liberismo tout court, infatti, ad essere contestato, come la schiacciante vittoria di Cameron in Gran Bretagna dimostra. Ciò che sembra non funzionare è il particolare liberismo dell'UE: rigorista, dirigista e politico. Mentre le elezioni greche e spagnole contestano il versante sociale del rigorismo europeo, le elezioni inglesi e quelle presidenziali polacche (che però attendono conferma dalle prossime elezioni politiche previste in autunno) sembrano contestare proprio la qualificazione politica del liberismo professato dall'UE.

Vale a dire che, a causa della persistenza degli interessi nazionali, gli elettori polacchi (come molti altri cittadini europei) non percepiscono in senso positivo l'apertura dei mercati poiché temono forme di colonizzazione economica da parte di società di capitali che possono godere dell'appoggio di singoli e potenti Stati nazionali. Per questo, ad esempio, Duda ha proposto l'introduzione di una tassa a carico delle catene di supermercati o delle grandi banche, quasi tutte con sede sociale in Francia o Germania; ha inoltre espresso una posizione contraria all'adesione della Polonia all'Euro. Sul terreno dei diritti civili, Duda esprime delle posizioni molto vicine a quelle dell'ala conservatrice della Chiesa cattolica.

Si tratta di questioni serie e gravi, sulle quali devono riflettere anche i sinceri liberali, i quali non devono assumere atteggiamenti da "tifosi" e dunque demonizzare Duda o Tsipras, ma porsi seriamente il problema delle relazioni tra politica ed economia nell'UE. Da un lato, infatti, anche un teorico del liberismo puro, come Hayek, ammetteva la necessità di un reddito sociale di cittadinanza; dall'altro, Duda e Tsipras sono l'effetto e non la causa del paradosso in cui viviamo, per cui, se l'UE chiedesse all'UE di aderirvi, non sarebbe accettata per deficit di democrazia e istituzionale. Il che non significa necessariamente l'auspicio di un percorso che porti all'unificazione politica, che forse è impossibile e comunque molto lontana, ma della necessità di un'efficace politica sociale europea che si affianchi a un più incisivo liberismo, privo di connotazioni. E di una politica della sicurezza che tenga conto delle esigenze di tutti i partner.