(Public Policy / Stradeonline.it) - Roma, 20 mag - Ci sono almeno tre grandi questioni di cui discutere, nel valutare la sostenibilità di una riforma delle pensioni che introduca maggiore flessibilità in uscita "modello Boeri", come lanciata ieri dal premier Renzi in vista della prossima Legge di Stabilità.

cazzola - Copia

Uno: se si consente ad un pensionando di lasciare il lavoro uno, due, tre o addirittura quattro anni prima del tempo, si dovrà spalmare il monte complessivo degli assegni previdenziali che mediamente costui percepirà nella vita (è una stima, ovvio) su un numero maggiore di anni, dunque con una riduzione dell'assegno mensile; tale ricalcolo da parte della riforma sarà effettivamente neutro o finirà per aumentare la spesa di medio-lungo periodo, a danno dei lavoratori più giovani?

Due: se pure il ricalcolo sarà rigoroso, è evidente che nel breve periodo la maggiore flessibilità aumenterebbe il numero dei pensionamenti, con un aggravio della spesa pubblica (si parla di almeno 3 o 4 miliardi all'anno) e dunque del deficit. Dove il governo intende reperire le risorse necessarie? Sarà un intervento intra-spesa previdenziale (dunque riducendo qualche altra voce di spesa), intra-spesa pubblica o finirà per essere coperto con qualche forma di aggravio fiscale e contributivo?

Tre: davvero riteniamo che per ridurre l'elevata disoccupazione giovanile la strada da percorrere sia l'anticipo del pensionamento dei lavoratori più anziani? L'Italia ha bisogno di una espansione della sua base occupazionale, attraverso la creazione di posti di lavoro e di "cose da fare", non di una sostituzione di lavoratori anziani con lavoratori giovani.

Al di là delle parole e delle iperboli retoriche che potremo inventare, sarà in ogni caso il mercato a valutare se e come tale riforma si rivelerà davvero sostenibile finanziariamente e neutra dal punto di vista attuariale. Il giudizio sarà ad esempio espresso da chi compra i titoli di stato italiani: è con la riforma previdenziale Fornero che i mercati si rassicurarono della capacità dell'Italia di correggere una rotta finanziaria altrimenti condannata alla deriva; dunque è evidente che ogni cambiamento del sistema pensionistico sarà particolarmente sensibile per le scelte di investimento nel debito italiano. A guardare con distacco questa "saga" delle pensioni - incluse le polemiche sugli esodati, il giudizio negativo che mediamente gli italiani danno della legge Fornero e, da ultimo, la folle sentenza della Corte Costituzionale sulle rivalutazioni - viene da pensare che gli italiani non imparano mai dagli errori e dalle paure del passato. Giunti ad un passo dal default ed ancora oggi condizionati dalla zavorra di un sistema previdenziale sbilanciato e fortemente iniquo per le nuove generazioni, l'atteggiamento con cui si discute di "flessibilità" è dettato soprattutto dal desiderio di compiacere gli elettori pensionandi.

Ci sarebbe - e non è una provocazione, ma una proposta sfidante - una via neutra e sostenibile per risolvere i tre quesiti che abbiamo posto sopra: affidiamoci davvero al mercato, ma facciamolo per tempo. Anziché caricare sulle casse dell'INPS il costo della flessibilità in uscita, la nuova legge si potrebbe limitare a consentire ai lavoratori pensionandi di "scontare" in banca o presso un fondo pensione il loro diritto alla previdenza pubblica, fino a 4 anni prima dell'età oggi fissata dalla legge Fornero. Gli istituti finanziari privati che accettassero i criteri posti dalla legge (in primis, la non discriminazione dei richiedenti sulla base delle condizioni di salute, ad esempio) verrebbero chiamati a pubblicare le condizioni di ricalcolo che applicherebbero erga omnes. Il lavoratore sceglierebbe a quale banca rivolgersi e percepirebbe da questa la pensione anticipata e ricalcolata, mentre l'istituto incasserebbe poi gli assegni dell'INPS dal momento del raggiungimento dell'età pensionabile "base".

Alle banche o ai fondi pensione si chiederebbe cioè di anticipare risorse per conto delle Stato, a costo zero per le casse pubbliche; in cambio intermedierebbero un flusso finanziario enorme, a vantaggio delle loro capacità di prestito e investimento nell'economia reale. Qualcuno potrebbe obiettare che le banche riconoscerebbero assegni troppo bassi ai pensionati anticipati: vorrebbe dire che il mercato non si fida poi così tanto dell'Inps e dello Stato italiano. Perché dovremmo farlo noi contribuenti?

@piercamillo

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