Una ferita storica che non si rimarginerà mai, un Paese che non riesce a fare i conti con il proprio passato, un continente, il Vecchio continente per la precisione, che nel 1915, ai tempi dei massacri, si girò dall'altra parte un po' per convenienza, un po' perché già dilaniato dalla Prima Guerra Mondiale, e oggi preferisce non entrare nella diatriba storica, se non con voci isolate, per non indispettire un'economia crescente e un Paese, la Turchia, visto ancora come strategico.

Papa genocidio armeno

In queste ore di polemica, in pochissimi hanno ricordato che il riconoscimento del genocidio armeno non è mai stato una condizione posta ad Ankara per il suo eventuale ingresso nell'Unione Europea. La questione è sempre stata liquidata con un invito alla Mezzaluna a riflettere sul proprio passato. Bruxelles non se l'è mai sentita di intervenire su una questione storica di fatto ancora aperta, almeno secondo la Turchia. Gli unici interventi sono stati il riconoscimento isolato di alcuni Paesi o iniziative criticabili, come quella francese, per fortuna mai andata a buon fine, di punire con il carcere o con una multa chi negava i massacri del 1915.

Il Vecchio Continente non è insomma capace di intervenire su una ferita che lo riguarda molto più direttamente di quanto si possa pensare. La dissoluzione dei Balcani e la fine dell'Impero Ottomano ebbero ripercussioni dirette sugli equilibri europei, ma una mancata e completa conoscenza degli eventi, la volontaria ignoranza del considerare tutto quello che succedeva a est come non riguardante noi, ci ha resi ciechi prima nei confronti del capitolo Balcani e poi, in parte, anche nei confronti di quello Turchia.

Dall'altra parte, però, c'è una Mezzaluna che alza sempre di più i toni e che - sembra un paradosso - a causa della sua gestione diplomatica, anziché diventare un player regionale di prima grandezza come l'Egitto, obiettivo a cui aspirava, si ritrova sempre più isolata. Da Ankara nei confronti di Papa Francesco sono arrivate parole che hanno passato in modo netto il limite della reazione diplomatica. Segno che i turchi per primi non riescono a relazionarsi in modo riflessivo e pacato con gli eventi, ma anche indice di un'impostazione mentale che hanno già utilizzato più volte e che sta trasformando la Turchia, più che in una voce autorevole, in un problema per la comunità internazionale.

Nella politica estera di Ankara, infatti, mancava solo di tirarsi contro il Vaticano. Il presidente Recep Tayyip Erdogan nella sua reazione forse non ha tenuto in sufficiente considerazione l'effetto positivo che la visita di Papa Francesco in Turchia ha apportato all'immagine del suo Paese, ultimamente spesso al centro delle cronache e non per buone notizie.

Gli ambasciatori della Mezzaluna sono piuttosto abituati a essere richiamati in patria, anche solo per consultazioni. È successo a quello francese, proprio per la questione della legge che avrebbe punito chi negava il genocidio. In Siria il rappresentante turco è stato uno dei primi a venire richiamati in patria a causa della guerra personale che il presidente Erdogan ha mosso all'ex amico Bashar al-Assad. In Egitto l'ambasciatore manca da quasi due anni, quello libico è stato richiamato nel 2014. E poi c'è il tasto Israele, contro cui Ankara ha alzato la voce più volte, espellendo i rappresentanti diplomatici e abbassando il livello delle relazioni politiche. Dal punto di vista commerciale, nello scambio fra i due Paesi non è cambiato nulla, ma da quello del riposizionamento della Mezzaluna sullo scacchiere internazionale sì.

L'immagine che ci arriva da questa crisi fra Turchia e Vaticano è quella di un Paese sempre più solo, impotente davanti alla fermezza di Papa Francesco, che alza i toni oltre il limite del consentito, ma che, nonostante l'esuberanza diplomatica e gli annunci, ottiene su diversi fronti molto meno di quello che si aspetta.