Un tempo il Nord chiedeva di essere lasciato libero di creare ricchezza, oggi chiede all'Europa assistenzialismo su larga scala. E' la meridionalizzazione del Nord, di cui il Carroccio in questi anni è stato interprete e concausa.

faraci grande

Il sostegno aperto espresso da Matteo Salvini ad Alexis Tsipras in occasione delle recenti elezioni greche offre lo spunto per una riflessione non solamente sull'attuale cifra ideologica della Lega Nord, ma anche sull'evoluzione culturale degli elettori ai quali essa primariamente si rivolge. Nei fatti, anche se il progetto politico leghista vuole assumere sempre più un ambito nazionale, è chiaro che il consenso per il Carroccio arriva ancora in larghissima parte dal Settentrione – e dato che i leghisti sono sempre stati bravi a leggere i sentimenti, le paure e le pulsioni del loro elettorato di riferimento è ragionevole ritenere che l'aggiornamento nel tempo del loro armamentario politico sia la risposta ad un progressivo mutamento nella domanda politica della gente del Nord.

Tra la Merkel e Tsipras, dunque, Salvini sceglie Tsipras, nella piena consapevolezza di quanto la politica di Syriza disti dai principi di responsabilità fiscale e di bilancio che pure dovrebbero essere cari a chi si professa autonomista o indipendentista. Per quanto si ponga in rotta di collisione con l'establishment di Bruxelles e di Francoforte, il nuovo governo greco non reclama meno Europa politica, ma al contrario meno responsabilità e meno accountability per la Grecia e quindi, in definitiva, centralizzazione del rischio, della garanzia e della responsabilità a livello europeo. Al di là delle superficiali semplificazioni giornalistiche, Alexis Tsipras non è un "euroscettico" nel senso in cui lo sono i movimenti liberalconservatori del nord Europa. Syriza vuole, semplicemente, di più dall'Europa in un quadro di perequazione a livello continentale che ricalchi il trasferimento Nord-Sud a livello italiano.

E' significativo che, di fronte al proprio elettorato settentrionale, la Lega preferisca solidarizzare con quelle forze del Sud Europa che sostengono la necessità di politiche assistenziali su larga scala, piuttosto che con le ragioni di quei paesi che inevitabilmente quelle politiche sarebbero chiamate a pagarle. E' un salto concettuale non da poco. Se un tempo i lombardi venivano visti, per tanti versi, come i "tedeschi" d'Italia, oggi i nostri settentrionali, nel rinnovato bipolarismo europeo, si percepiscono Sud molto più che Nord; si sentono più nella stessa barca dei greci, degli spagnoli e dei portoghesi, piuttosto che vicini agli interessi dei bavaresi, degli olandesi o dei finlandesi.

Stiamo assistendo a una sorta di "meridionalizzazione" dell'intera Italia, ed è una tendenza che non si riscontra solamente nei fondamentali economici del nostro paese che ci allontanano sempre più dalle economie più competitive del continente e ci relegano de facto nel Sud dell'Eurozona. Nei fatti, quello che, per molti versi, appare più grave è che questo senso di "meridionalità" venga sempre più introiettato dagli italiani a livello culturale, innescando reazioni di istintivo rigetto rispetto a qualsiasi prospettiva di elevamento degli standard di governance.

La tragedia culturale del Sud Italia è stata, in questi decenni, quella miscela di autoindulgenza, rassegnazione, vittimismo ed al tempo stesso aspettativa che comunque in un modo o nell'altro si era destinati a cavarsela. Ciò che ha reso impossibile qualsiasi vera emancipazione delle regioni del Sud è stata la sostanziale convinzione dei meridionali di andare bene così, dell'inevitabilità, forse pure della desiderabilità dei propri "vizi", e la corrispondente certezza di avere un diritto inalienabile ad una quota di benessere, scontandosi l'onere di adattarsi alle necessità produttive e competitive richieste dai mercati.

Purtroppo questa chiusura all'innovazione e alle sfide della società aperta e dell'economia libera non caratterizza ormai più solo una parte d'Italia. Essa caratterizza sempre più gli italiani in genere, anche quelli del Settentrione. Di questo processo di meridionalizzazione del Nord Italia il Carroccio in questi anni è stato fedele interprete e, con la propria narrazione politica, in qualche misura anche concausa.

Sembrano davvero lontani i tempi in cui la Lega, pur attraverso metodi e forme talora grossolani, era in grado di cogliere nella sostanza una delle questioni chiave del male italiano, quella della spoliazione fiscale del Nord e della mortificazione assistenziale del Sud. Le rivendicazioni leghiste degli anni '90 sembravano complementare lo spirito liberale della prima Forza Italia nel dare voce a quella che Luigi De Marchi definì "la rivolta dei produttori". Il Nord chiedeva di essere lasciato libero di creare ricchezza e di godere dei legittimi frutti del lavoro e dell'impresa. Erano anni in cui il partito di Bossi si vantava di voler ancorare la Padania ad una prospettiva mitteleuropea, al punto da portare talora come argomentazione indipendentista il rischio che il peso rappresentato dal Sud facesse rimanere l'Italia fuori dall'Euro.

Molta acqua è passata sotto i ponti ed oggi il cuore dell'argomentazione leghista non è più il dualismo economico tra il Nord "formica" ed il Sud "cicala", bensì la contrapposizione nazionalista tra italiani e immigrati. In altre parole, la Lega salviniana pare voler offrire al popolo un'appartenenza a buon mercato, per la quale ogni elettore automaticamente si qualifica. E così il leghismo non è più difesa della aree produttive, ma si riduce a difesa di un puro "diritto di nascita"; del diritto degli italiani, in quanto "italiani", a rimanere nella propria area di comfort, a permanere uguali a loro stessi, mentre tutto il resto del mondo cambia a grande velocità.

L'unica vera "secessione" che il Carroccio di oggi pare in grado di promettere è quella dalle opportunità e dalle sfide del mondo globale – una secessione che, purtroppo, il Meridione d'Italia ha già conseguito da tempo. Comunque la si pensi, è una parabola triste per un movimento politico che, pur con limiti e contraddizioni, in una certa fase politica aveva provato a dar voce a progetti ben più ambiziosi.

@Marco_Faraci