In attesa del disegno di legge annuale sulla concorrenza, che finalmente il governo dovrebbe presentare nelle prossime settimane, è partita una guerra di posizionamento mediatico tra i favorevoli e i contrari di una grande piccola liberalizzazione: la possibile vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie. È uno scontro che, peraltro, vede contrapposte il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi (favorevole) e quello della Sanità Beatrice Lorenzin (contraria). 

Il tema non è nuovo, ci provò anche il governo Monti, ma l'opposizione trasversale e tignosa del "partito delle farmacie" ebbe la meglio in Parlamento (fu il primo vero errore del governo tecnico). Come quella volta, anche ora la controinformazione domina.

farmacia

Partiamo dalla base. I farmaci di fascia C sono un'ampia categoria di sostanze acquistabili solo con prescrizione medica, ma a totale carico del consumatore (cioè non coperti nemmeno parzialmente dal servizio sanitario nazionale). Rientrano nella categoria antidolorifici, antinfiammatori, ansiolitici, antipsicotici e antidepressivi. Con la loro "derubricazione" dalla lista dei farmaci acquistabili solo in farmacia, non ci sarebbe l'eliminazione dell'obbligo della ricetta, che resterebbe tal quale. Attenzione: anche nelle parafarmacie c'è per legge almeno un farmacista, laureato e iscritto all'Ordine esattamente come i suoi colleghi titolari di una farmacia (magari ereditata da un genitore o acquistata con i soldi di una famiglia molto benestante).

La cosiddetta liberalizzazione, dunque, non sottrarrebbe i farmaci di fascia C dall'obbligo di ricetta o dal "filtro" di verifica di un farmacista, ma amplierebbe semplicemente la rete di distribuzione e la concorrenza tra i punti vendita. L'effetto stimato sarebbe un calo del prezzo di tali farmaci, con un risparmio annuo complessivo per le famiglie italiane stimato tra i 300 e i 700 milioni di euro. 

Tutte le obiezioni alla riforma sono "infette" dal morbo del corporativismo. I farmacisti-con-farmacia, in particolare, temono di perdere una rilevante quota di mercato, a vantaggio dei loro colleghi "sfigati" non titolari di farmacia. Ma la liberalizzazione serve proprio a questo, a eliminare ingiustificate rendite di posizione di qualcuno a vantaggio di tutti: i consumatori spendono meno e i farmacisti-senza-farmacia hanno prospettive di reddito meno inique rispetto ai loro fortunati colleghi proprietari di una farmacia.

C'è qualcuno che obietta che la vendita dei farmaci di fascia C fuori dalle farmacie incentiverebbe la vendita del farmaco, oltre le reali necessità dei consumatori, che sarebbero indotti ad assumerne di più dalla "concorrenza selvaggia". Un po' come sostenere che la concorrenza tra pizzerie, ristoranti e bar andrebbe limitata perché i consumatori mangiano e bevono troppo e male. Battute a parte, chi usa questo argomento "anti-liberalizzazione" mostra di non avere evidentemente fiducia che un farmacista - ripeto, laureato in Farmacia, iscritto all'Ordine e qualificato come qualsiasi suo collega - sappia svolgere bene il suo lavoro, solo perché non è titolare di una sua propria farmacia. E con i farmacisti dipendenti di una farmacia come la mettiamo? Perché loro sarebbero più competenti e rispettabili dei loro colleghi titolari o impiegati presso una parafarmacia? Suvvia.

Speriamo che, per noi consumatori e per i tanti e bravi farmacisti-senza-farmacia, questa sia #lavoltabuona.

@piercamillo