In un fortunato articolo di alcuni anni fa, Sandro Brusco aveva individuato una delle ragioni, forse “la” ragione, per la quale si dicono (e si fanno, come vedremo) tante sciocchezze nel dibattito economico in Italia: il modello dei bisogni fissi e dei fattori fissi di produzione o, più semplicemente, il “modello superfisso”.

arance

Il modello superfisso, a cui la maggior parte dei protagonisti del dibattito politico ed economico italiano si ispirerebbero, si fonda su questi presupposti:

Primo, i bisogni sono fissi. Uno mangia x etti di pasta in un mese, consuma z paia di scarpe e percorre y chilometri in macchina. Tali bisogni vanno comunque soddisfatti, indipendentemente dai prezzi; il risparmio è una variabile residuale. Una prima conseguenza è che, se i prezzi salgono, i consumi restano gli stessi, indipendentemente dal reddito. Inoltre, il risparmio, essendo residuale, è determinato dall'inflazione. Non solo il livello assoluto dei prezzi è irrilevante: anche i prezzi relativi (i rapporti fra i prezzi di due beni diversi) lo sono. Infatti, se i bisogni sono fissi, ne discende che esiste una quantità fissa per ciascun bene da produrre. Se il prezzo della pasta scende e quello delle scarpe sale non potrò mettermi la pasta ai piedi: sempre x etti di pasta e z paia di scarpe dovrò consumare.

Secondo, sono fissi anche i metodi di produzione. Per produrre una scarpa ci vuole x cuoio, z macchine e y lavoro. Ne discende che non solo i prezzi relativi dei beni, ma anche i prezzi relativi dei fattori di produzione sono irrilevanti, dato che comunque la stessa combinazione di capitale, lavoro e materie prime va usata in ogni caso. Siccome poi i bisogni, e quindi la quantità di cose da produrre, sono anch'essi fissi, risulta fissa e non dipendente dai prezzi relativi la quantità totale di fattori (in particolare, il lavoro) che viene impiegata in una economia.

Terzo, il mondo non cambia. La gente ha bisogno di mangiare sempre gli stessi quantitativi di pasta, di usare lo stesso numero di scarpe e di percorrere lo stesso numero di chilometri in macchina, anno dopo anno. Tali beni verranno inoltre prodotti allo stesso modo: non esiste progresso tecnologico, se non quello uniforme che, cambiando tutto nella stessa proporzione, non cambia nulla. Non ci sono pertanto rilevanti fluttuazioni nella produzione dei beni di consumo, il ché a sua volta implica che non ci sono rilevanti fluttuazioni nell'occupazione dei fattori di produzione, in particolare il lavoro.

Alcuni giorni fa è stata approvato alla Camera un emendamento presentato dal PD che innalza dal 12 al 20% il contenuto minimo di frutta nelle bibite analcoliche. “Una grande battaglia di civiltà a difesa e valorizzazione del nostro made in Italy e a tutela della salute dei cittadini, specialmente dei bambini” hanno dichiarato i capigruppo del PD nelle commissioni Agricoltura di Camera e Senato, Oliverio e Ruta. “E’ stata sconfitta la lobby delle aranciate senza arance”, ha squillato il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo.

Questa norma, se dovesse essere approvata in via definitiva, si applicherebbe solo ai produttori italiani di bibite, dato che per ovvie ragioni una norma italiana non può avere effetti sul territorio di altri paesi. E per le stesse ovvie ragioni (facciamo parte di un mercato comune) questa norma non potrebbe limitare le importazioni di bibite dall’estero prodotte secondo le normative comunitarie. Eppure sul sito di Coldiretti leggiamo il seguente comunicato: “Duecento milioni di chili di arance all'anno in piu’ saranno 'bevute' dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate se l’aumento al 20 per cento del contenuto minimo di frutta, previsto dall’emendamento del Pd nella legge comunitaria, venisse definitivamente approvato ed attuato”. Signore e signori, il modello superfisso in azione.

Infatti, dal momento che secondo Coldiretti (e secondo gli estensori dell’emendamento, che la sanno senz'altro lunga), il bisogno di aranciata degli italiani è fisso ed immutabile, aumentare di circa il 70% il contenuto di arance nell’aranciata comporterà automaticamente un aumento proporzionale del consumo di arance. Non importa se i produttori di bibite dovranno sostenere un aumento del 70% del costo della materia prima, e quindi probabilmente i prezzi cresceranno: gli italiani bevevano tot aranciata ieri, tot aranciata berranno domani. Pagheranno qualcosa di più, ma in base al modello superfisso non rinunceranno alla loro dose fissa di aranciata.

E non importa nemmeno se i produttori italiani si troveranno a dover sopportare la concorrenza dei produttori esteri, che potranno continuare a lavorare con norme diverse e quindi con costi più bassi. Il rischio che qualcuno possa essere messo fuori mercato, che alcune imprese possano chiudere o delocalizzare, con conseguenze significative sull'occupazione nell'indotto, semplicemente non esiste: secondo il modello superfisso, se ieri gli italiani compravano tot aranciata prodotta in italia, è segno che volevano proprio quella lì, e dal momento che non esiste nessuna funzione allocativa dei prezzi nelle decisioni di consumo, non c’è ragione di pensare che anche domani non continueranno a comprare quell’aranciata lì, prodotta in Italia secondo le nuove norme e con un prezzo più alto. Non fa una piega, vero?

@LaValleDelSiele