Prima ancora che su considerazioni di carattere etico, il dibattito sull’opportunità o meno di legalizzare il consumo delle sostanze stupefacenti si poggia, ormai ovunque nel mondo, sui numeri. I numeri a molti zeri che sembrano indicare l’insostenibilità, per le casse degli Stati, dell’approccio protezionista alla questione droghe.

uruguay

Alcune settimane orsono Stefania Pesavento ha raccontato per Strade come la decisione dell’Uruguay di legalizzare la produzione e il consumo di marijuana ha come obiettivo, tutt’altro che nascosto, quello di creare un nuovo monopolio per lo Stato, che assumerà il controllo di tutta la filiera, dalla produzione alla vendita fino al consumo, regolato anche attraverso l’imposizione di prezzi fissi. Introiti considerevoli, con un investimento minimo, se consideriamo che per soddisfare il fabbisogno del paese sarà sufficiente mettere a coltura poche decine di ettari.

Ma quello che alletta di più sono i risparmi sul fronte della repressione. In Italia, per esempio, un terzo dei detenuti è in carcere per reati legati al consumo di stupefacenti. E proprio in Italia uno studio dell’Università di Roma ha provato a quantificare gli effetti sommati del costo della repressione e dei mancati introiti di tasse non riscosse: la simulazione, che ipotizzava l’applicazione per le sostanze stupefacenti della legislazione in vigore sui tabacchi nel corso di un quinquennio, ha dato risultati sorprendenti: lo Stato avrebbe risparmiato due miliardi l’anno, incassandone otto. Dieci miliardi l’anno non sono una cifra da buttar via, di questi tempi, soprattutto a fronte della scarsa efficacia, ormai un fatto pacificamente accettato da tutti, dell’approccio protezionista alla lotta alla droga: dieci miliardi l’anno che davvero non portano risultati apprezzabili.

E studi analoghi sono stati fatti anche altrove: negli Stati Uniti il Cato Institute ha stimato che la legalizzazione delle droghe consentirebbe risparmi di spesa dell’ordine dei 41,3 miliardi di dollari l’anno, ripartiti tra bilanci statali e federali, mentre le entrate aggiuntive, applicando alle droghe regole simili a quelle per alcolici e tabacchi, supererebbero i 46 miliardi di dollari. Cifre da prendere con le molle, date le molte variabili in campo, e sulle quali va fatta la tara di una necessaria distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere: dei 46,7 miliardi di dollari di maggiori entrate fiscali, solo 8,7 proverrebbero dalla marijuana.

Cifre che però, per le loro stesse dimensioni, non riescono davvero a passare inosservate, e che stanno stimolando in molti paesi la discussione sull’opportunità di mettere in soffitta, una volta per tutte, il proibizionismo.