stradedelcibo-quadratoIn una recente intervista al Sussidiario, Piero Ostellino si accoda alla già nutrita schiera di coloro che attribuiscono all'Europa e in particolare ad Angela Merkel la responsabilità dei nostri guai. Addirittura, secondo il politologo, la cancelliera starebbe "realizzando in modo apparentemente pacifico il progetto hitleriano (sic)" sull'Europa. Nientemeno.

A fondamento di questa singolare teoria, Ostellino cita la politica agricola europea, in particolare per quanto riguarda la produzione di alcune materie prime: "l'Italia è un produttore di latte e di zucchero, ma dobbiamo distruggerne una parte perché così vuole l'UE, per essere costretti a comperarne dalla Germania e dalla Francia". Eppure sono proprio questi casi, il latte e lo zucchero, che dimostrano la nostra inguaribile tendenza a farci del male da soli. Guardiamo il latte, magari in un’altra occasione parleremo dello zucchero.

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Quando, nel lontano 1984, in Europa fu istituito il discutibile regime delle quote latte, i ministri dell’Agricoltura dei paesi membri della Comunità Economica Europea convenuti a Bruxelles per negoziare le rispettive quote nazionali sapevano quel che si discuteva in quei giorni, e si erano preparati. Tutti, tranne uno, Filippo Maria Pandolfi, ministro dell’agricoltura della Repubblica Italiana in base ad una logica collaudata in decenni di attribuzione delle cariche sulla base di tutto fuorché delle competenze. Fu lui a sparare un dato a vanvera sulla produzione nazionale di latte, di soli 9 milioni di tonnellate, ampiamente al di sotto della nostra capacità produttiva. E fu sempre lui che, resosi conto dell’errore, dopo aver balbettato qualche lamentela nei confronti dell’ISTAT, assicurò che le quote latte erano state assegnate pro-forma, e che c’era un tacito accordo per escludere l’Italia dal pagamento delle sanzioni. La storia delle quote è cominciata così, nel modo peggiore possibile, con un ministro della Repubblica (italiana, non tedesca) che assicurava gli operatori del settore, dagli allevatori agli acquirenti ai trasformatori, che avrebbero potuto liberamente ignorare la normativa europea.

Da allora sono passati alcuni decenni, durante i quali le autorità italiane si sono affannate nel vano tentativo di recuperare l’errore commesso, via via sacrificando sull’altare del latte versato gli altri comparti della produzione agricola nazionale, dall’olio di oliva al grano duro fino proprio allo zucchero, all'inizio del nuovo millennio. Senza, peraltro, mai riuscire a fornire a Bruxelles cifre credibili sulle produzioni, come conferma il recente scandalo delle anagrafi bovine. Che sia colpa dell’Europa?

Il resto della storia non lo fanno i regolatori europei, che ad Ostellino possono anche stare antipatici, ma il mercato. Quello che, in base ad una sana logica di libero scambio, consente alle merci di viaggiare senza ostacoli all’interno dell’Unione Europea. Guardate questa tabella, che confronta il prezzo all’origine, ovvero alla stalla, del latte prodotto nelle tre principali aree di produzione europee: Lombardia, Baviera e Rhones-Alpes.

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Il prezzo del latte italiano, fissato periodicamente attraverso accordi interprofessionali di filiera benedetti dalla politica (sempre italiana, non tedesca), è più alto, significativamente più alto, di quello delle regioni concorrenti. Capita quindi che anche i trasformatori italiani comprino il latte dove costa meno. Anche qui, colpa della Merkel? E soprattutto, quale sarebbe il piano di Piero Ostellino per contrastare il “progetto hitleriano (sic)”? Ritornare ai dazi e al protezionismo commerciale? Si troverebbe in ottima compagnia. In ogni caso il regime delle quote, quello che secondo Ostellino sarebbe stato imposto dall’Europa per impedire ai produttori italiani di lanciarsi alla conquista di chissà quali nuovi mercati, nazionali ed esteri, finirà, alla buon ora, nel 2015. Eppure sembra che siano gli italiani, più che i tedeschi, ad essere preoccupati da questa eventualità.

@LaValleDelSiele