trivellegabbiani

"Non sprecare energia" è stato uno slogan usato nelle scorse settimane dal comitato per l'astensione al referendum del 17 aprile, a cui Strade ha partecipato con il sottoscritto e con Giordano Masini. Ci riferivamo alla inopportunità di interrompere una significativa produzione nazionale di gas naturale e di petrolio, ma oggi quello slogan può ancora essere un motivo di riflessione e di proposta politica. La sfida energetica dell'Italia ha bisogno di essere giocata su basi pragmatiche e ambiziose, senza fittizie contrapposizioni tra fonti rinnovabili e fonti fossili, senza distorsioni a spese del contribuente e del consumatore e soprattutto senza egoismi localistici. L'aspirazione deve essere quella di spingere l'Italia verso una sempre maggiore innovazione, una minore dipendenza dagli approvvigionamenti esteri e una riduzione dell'impatto ambientale del nostro mix energetico. Insomma, archiviato il goffo referendum sulle trivelle, non si archivi il dossier energetico.

L'iniziativa referendaria delle Regioni "No-Triv" aveva già fatto i suoi danni ben prima del voto di domenica, quando con la Legge di Stabilità 2016 il Parlamento ha recepito quasi tutti i quesiti proposti contro le norme riguardanti le attività di ricerca e sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi in mare, la realizzazione delle opere connesse e le relative procedure di autorizzazione. Quelle norme del decreto Sblocca Italia 2014 davano un segnale positivo per gli investitori privati, italiani ed internazionali, dando coerenza e linearità ad un quadro regolatorio farraginoso e frammentato: a volte sembra che in Italia nessuna abbia il potere di decidere, ma tutti possano bloccare un'opera pubblica o un progetto di investimento. La riforma costituzionale approvata e soggetta prossimamente a referendum confermativo riporterebbe la competenza sulla politica energetica esclusivamente nelle mani dello Stato, e questo è oggettivamente una scelta ragionevole.

Ma c'è ora bisogno di affermare senza ritrosie la necessità di una strategia a doppio binario: da un lato, la ricerca di base e applicata, la liberalizzazione e la semplificazione regolatoria per lo sviluppo di fonti rinnovabili capaci di vincere la sfida della sostenibilità economica; dall'altro, la valorizzazione dell'enorme potenziale di riserve di gas naturale certe, possibili e potenziali nei nostri mari, oltre le 12 miglia (qualcuno le stima a circa 700 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, a fronte di un consumo annuo attuale di circa 100 mtep). Il gas naturale è e sarà sempre di più protagonista nella grande sfida epocale del superamento del carbone e del petrolio come combustibili e l'Italia non può rischiare di perdere la sua posizione da attore globale nel mercato.

Nel mondo ambientalista (lo abbiamo sperimentato in queste settimane di campagna referendaria) ci sono sensibilità diverse, ma figure come la presidente di Legambiente Rossella Muroni o il direttore generale del WWF Gaetano Benedetto possono essere alleati preziosi nel superare le obiezioni nichiliste dei movimenti No-a-Tutto: il biogas, per dirne una, è una fonte che l'Italia può e deve valorizzare, grazie alle enormi sinergie con il settore dell'allevamento di animali. Dicasi lo stesso per le prospettive molto promettenti della geotermia e per il grande tema dell'autosufficienza elettrica delle abitazioni, per il quale ogni riduzione fiscale è benvenuta.

Un'ultima riflessione, di carattere politico-culturale: quando si dice "conciliare sviluppo e ambiente", si possono intendere molte cose. Ma per come la intendiamo noi, la conciliazione possibile è il mercato. Il petrolio non è diventato il protagonista assoluto della nostra epoca perché qualcuno lo ha imposto sull'olio di balena per salvare le balene o sulla legna per salvare gli alberi (finalità entrambe meritevoli, sia chiaro). Il petrolio ha vinto perché conveniva, era estremamente duttile e facilmente commerciabile: dalla lavorazione della plastica alla combustione per la produzione di energia, il petrolio ha vinto la sfida sul mercato.

Oggi la tutela dell'ambiente, la qualità dell'aria, dell'acqua e del cibo e la conservazione degli habitat naturali sono bisogni sentiti come fondamentali da tutti o da molti cittadini, i quali favoriscono e chiedono una transizione verso nuove fonti di energia pulite (tanti milioni di sì al referendum, quelli sinceri e non politicisti, non vanno sottovalutati). Ma questa aspirazione non può tradursi - semplificando - in aggravi fiscali atti a tenere in piedi settori non autosufficienti o in misure inibitorie della crescita economica, quindi del lavoro e del benessere collettivo. La grande sfida del nostro tempo è realizzare nel mercato e sul mercato la rivoluzione verde (o blu, se preferite).