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Lo scandalo Volkswagen sta facendo spendere fiumi di inchiostro reale e virtuale. Da una parte si assiste alla becera soddisfazione di chi vuole usare questa vicenda per prendersi una rivincita (non si sa bene da cosa) nei confronti della Germania e della Signora Merkel, come se un danno enorme all’industria automobilistica tedesca si traducesse in un nostro beneficio.

Poi ci sono quelli – e non li capisco proprio – che sminuiscono la gravità di ciò che è successo e difendono a spada tratta il comportamento tenuto da Volkswagen, giustificandolo con il fatto che le regolamentazioni di protezione ambientale sarebbero inutili e dannose. Non sono d’accordo nemmeno con questa posizione.

Inizio col dire che anche io sono molto scettico (è un eufemismo) sulla bontà degli standard obbligatori previsti dalla normativa per la tutela dell’ambiente. Su questo sono assolutamente d’accordo con Giordano Masini quando scrive che essa è “tendenzialmente esagerata e sostanzialmente inapplicabile” (o almeno che così viene percepita dagli operatori del settore) e sono d’accordo con lui sul fatto che che questo non possa costituire un alibi né per Volkswagen, né per qualsiasi altra casa automobilistica che dovesse, in futuro, essere nelle stesse condizioni.

Non mi pare, infatti, di ricordare levate di scudi da parte delle case automobilistiche in concomitanza con la periodica introduzione di nuovi e più stringenti standard. Sapete perché? La regolamentazione ipertrofica di questi anni ha portato enormi vantaggi a Volkswagen & Co in quanto tanti automobilisti, volenti o nolenti, sono stati costretti a cambiare la loro vettura per adeguarsi all’ultimo standard in voga e poter circolare liberamente in città.

Se oggi scopriamo che gli standard venivano rispettati soltanto sulla carta, grazie a qualche aiutino, non possiamo liquidare la faccenda e dire che tutto va bene, nemmeno se la normativa era pessima. Troppo comodo. Molti automobilisti sono stati costretti a cambiare automobile proprio in virtù di quegli standard. Altri lo hanno fatto perché desideravano inquinare di meno e proteggere l’ambiente. Tutti hanno comprato un prodotto che dichiarava e pubblicizzava una certa caratteristica e si sono ritrovati con un qualcosa di diverso. Dovrebbero stare zitti e non chiedere alcun risarcimento?

A differenza di quel che impariamo su molti manuali di economia, l’asimmetria informativa non è un fallimento del mercato ma una caratteristica fondante dell’economia di mercato. Se tutti avessimo una perfetta conoscenza di tutti i fatti rilevanti, non esisterebbero occasioni di profitto e quindi nemmeno un’economia di mercato. Il consumatore è, di base, diffidente perché sa poco del prodotto che andrà ad acquistare. Avere una buona reputazione è quindi uno degli strumenti con cui gli imprenditori cercano di “tranquillizzare” il consumatore e indurlo a comprare da loro. La buona reputazione si costruisce lentamente ma si può perdere in un attimo. Fino a ieri Volkswagen era sinonimo di affidabilità, ma oggi?

Potrà sembrare crudele che ciò che si è costruito faticosamente in decenni di buone pratiche possa evaporare in un attimo ma, se ci pensiamo, è un bene che sia così. Adam Smith scriveva che noi ci aspettiamo di trovare dal macellaio la nostra cena non per benevolenza sua ma perché servirci era l’unico modo con cui egli potesse fare il proprio interesse. È un meccanismo che incentiva gli imprenditori a fornirci prodotti buoni a prezzi onesti. Se mi freghi, io compro da un altro e quindi tu ci perderai.

Ma se quando un’azienda si comporta in modo scorretto dobbiamo far finta di niente e continuare come se nulla fosse o, peggio, far pagare al contribuente il costo di un eventuale salvataggio, non lamentiamoci poi se la maggior parte delle aziende si adeguerà e si comporterà allo stesso modo: incentives matter, gli incentivi contano, eccome se contano.

Essere a favore dell’economia di mercato non significa parteggiare per le aziende e nemmeno fregarsene delle regole. Le regole sono il fondamento dell’economia di mercato e i suoi veri sostenitori lo sanno bene. Sanno anche che quando queste sono congeniate per “far vincere qualcuno” non sono affatto buone regole. Questo non giustifica però chi da quelle norme trae beneficio e poi viene colto a barare con le mani nella marmellata.

Rimane il problema degli effetti che questo scandalo potrà avere sul settore automobilistico e su Volkswagen in particolare. Certamente vi è il rischio che molte persone perdano il posto di lavoro a causa del comportamento scorretto di poche persone ai vertici dell’azienda. Questo è ciò che sarà visibile a tutti e che probabilmente indirizzerà le politiche pubbliche. Ma vi è un rischio molto più profondo perché rimarrà nascosto alla vista. Se, malauguratamente, Volkswagen rischiasse il fallimento e la Germania decidesse di intervenire per salvarla con denaro pubblico, magari invocando il fatto che è "too big to fail", si lancerebbero due pericolosissimi messaggi a tutte le aziende e agli stati europei.

In primo luogo cadrebbe clamorosamente il divieto di aiuti di stato alle aziende nazionali, con conseguenze che possiamo ben immaginare qui in Italia. Il secondo sarebbe un sostanziale via libera a questo tipo di comportamenti, che nel lungo termine si tradurrebbe in una loro generalizzazione. Oddio, forse per quest’ultimo punto siamo già in quel “lungo termine”.