Cinque anni fa, se aveste provato a chiedere a un qualunque europarlamentare cosa fosse l'ISDS, questi vi avrebbe probabilmente risposto di non averne idea. Oggi, invece, il tema è più bollente che mai. Merito del Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP), le cui negoziazioni attirano ormai anche l'attenzione dell'opinione pubblica e della stampa mainstream. E, ovviamente, dell'Europarlamento. Come prevedibile, tuttavia, il dibattito è stato condotto perlopiù sui binari di una protesta cieca e complottista. E il rischio, oggi, è che l'opposizione al TTIP investa anche altri trattati.

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Il principale bersaglio collaterale della protesta contro il TTIP è senz'altro il Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA). Un accordo di cui UE e Canada iniziarono a discutere già nel 2004, dopo il Summit di Ottawa, con l'ambizioso obiettivo di andare oltre il superamento delle barriere di accesso al mercato tradizionale per includere settori quali commercio, investimenti, concorrenza, riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali, servizi finanziari e sviluppo sostenibile. Obiettivi che, nel 2008, condussero all'inizio delle negoziazioni sul CETA, conclusesi lo scorso 26 settembre.

Sino al 2013, l'interesse dell'opinione pubblica europea sul CETA rasentava lo zero. Anche le principali critiche oggi addotte al TTIP, sino ad allora, non furono mai sollevate. Poi, nel luglio 2013, l'UE iniziò a negoziare con gli USA: da lì ad attaccare anche il CETA, per gli stessi motivi, il passo fu breve. Un aspetto su tutti è quello relativo, appunto, all'ISDS (Investor-State Dispute Settlement): il CETA è il primo accordo economico bilaterale dell'Unione che contiene una clausola di risoluzione delle controversie fra investitore e Stato che consente al primo di aprire un procedimento nei confronti di un governo di fronte a una corte arbitrale qualora ritenga che nuove leggi locali minaccino gli investimenti effettuati (e garantiti altrimenti dalla precedente regolamentazione) in maniera discriminatoria.

Dopo la conclusione dei negoziati, il CETA è stato sottoposto alle normali procedure dell'Unione - revisione giuridica e traduzione in tutte le lingue ufficiali dell'UE - in modo da poter essere inviato al Consiglio e al Parlamento per l'approvazione definitiva, prevista al massimo per il 2017. Una data che, oggi, rischia tuttavia di slittare, perché i dubbi sul TTIP hanno contagiato l'Europarlamento al punto da mettere in discussione quanto a suo tempo stabilito nel CETA. E se quest'ultimo trattato ha risolto in modo soddisfacente molte delle problematiche più complesse emerse nel dibattito sul TTIP (ad esempio su IGP, appalti pubblici e diritto alla privacy), il punto di domanda fondamentale resta quello sull'ISDS, con sempre più voci secondo cui Bruxelles vorrebbe riaprire le trattative, per evitare di vedere il CETA bocciato a scatola chiusa dall'Europarlamento.

A prescindere dal dibattito sull'ISDS e sulla sua opportunità, non portare a conclusione il CETA sarebbe senz'altro un'occasione persa. Bisogna considerare, in questo senso, che l'UE è il secondo partner commerciale del Canada dopo gli USA, con circa 37 miliardi di Euro di importazioni di beni e servizi nel 2013. Del resto, il rapporto è reciproco: nello stesso anno il Canada si è classificato al 12° posto tra i partner commerciali internazionali dell'Unione, con esportazioni di beni per 48 miliardi di Euro.

In questo contesto, il CETA abolirebbe il 99% dei dazi doganali sui prodotti industriali e il 96% di quelli sui prodotti agricoli in sette anni, oltre a numerose barriere commerciali, determinando risparmi per gli esportatori europei pari a circa 470 milioni di Euro l'anno. Inoltre, abbassando i costi relativi alle procedure tecniche e uniformando la regolamentazione, il CETA agevolerebbe gli scambi commerciali per un aumento del PIL dell'UE che si aggirerebbe, secondo le stime, intorno ai 2,9 miliardi di euro l'anno. Il CETA porterebbe grandi benefici anche agli agricoltori e alle PMI alimentari europee, riconoscendo lo status speciale delle IGP e offrendo loro protezione sul mercato canadese. L'uso di marchi come Grana Padano o Aceto balsamico di Modena, ad esempio, sarebbe riservato ai prodotti importati dalle regioni europee dalle quali provengono tradizionalmente, mentre altri marchi, come ad esempio prosciutto di Parma e prosciutto di San Daniele, sarebbero finalmente autorizzate a utilizzare la propria denominazione se vendute in Canada, cosa che ad oggi non è possibile.

Questi e altri vantaggi che il CETA porterebbe all'economia europea sono stati ribaditi, da ultimo, durante la conferenza "Canada to Italy" che si è tenuta a Roma qualche settimana fa, alla presenza dell'ambasciatore canadese Peter McGovern, dell'ex presidente del Senato canadese Noel Kinsella e dei due membri del governo italiano, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova. Quest'ultimo, in particolare, ha evidenziato come ogni grande accordo commerciale abbia "un substrato politico e una motivazione ideale: nel caso del Comprehensive Economic and Trade Agreement tra Unione Europea e Canada, ben oltre gli evidenti e reciproci vantaggi economici, c'è il rafforzamento delle relazioni e della cooperazione tra due grandi libere democrazie del pianeta".

Un tema da non sottovalutare, se la strategia geopolitica dell'Unione Europea è quella di creare un grande asse atlantico capace di far valere la propria voce di fronte ai giganti dell'Est, con i quali molto presto si dovranno affrontare questioni cruciali di governance globale su ambiente, commercio e investimenti.