logo editorialeLa lettura del Rapporto Svimez per il 2014 conferma che, per il Mezzogiorno, è ormai in corso una vera e propria "deflazione umana". La popolazione non sta solo invecchiando, sta ormai diminuendo: 20mila unità in meno nell'ultimo anno, dopo oltre un decennio a crescita zero.

La natalità è inferiore a quella del Centro-Nord, l'immigrazione straniera anche, l'emigrazione verso il resto del Paese e l'estero cresce: tutti fattori che portano a ipotizzare - se nulla cambierà - un calo della popolazione del Mezzogiorno di circa 4,2 milioni di persone nei prossimi 50 anni. Nel solo 2013 secondo le stime dell'istituto di ricerca si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 116 mila abitanti (non solo giovanissimi), che si aggiungono ai 2,3 milioni di emigrati degli ultimi venti anni. Ai dati ufficiali va aggiunta la significativa quota di residenti meridionali stabilmente o prevalentemente domiciliati in altre regioni pendolari di lungo raggio (il sottoscritto è parte della categoria), calcolati per il 2013 in 142mila unità.

La popolazione meridionale sta "votando con i piedi", esprimendo il più definitivo dei giudizi politici: se ne va, separa il proprio destino individuale da quello della propria terra e cerca altrove le condizioni per la propria legittima affermazione personale e familiare.

La deflazione umana riguarda non solo la quantità dei residenti, ma anche le loro competenze. "I laureati - si legge nel rapporto - non costituiscono la maggioranza dei migranti, ma sono la sezione che cresce di più, da 17mila del 2007 a 26mila del 2012, +50% in cinque anni, un numero impressionante, se si pensa che l'area sforna tutto sommato meno laureati del Centro-Nord". Il combinato disposto di emigrazione, disoccupazione di lungo periodo, inoccupazione e scarsi investimenti in formazione (ci si iscrive sempre meno all'università, lo fa appena il 51,7% degli studenti superiori meridionali) sta provocando un depauperamento drammatico del capitale umano.

Le conseguenze sono devastanti. Quale sarà il grado di creatività e innovazione di una popolazione sempre meno formata e professionalizzata? Quale sarà la qualità e la lungimiranza della domanda politica di una opinione pubblica anziana, povera e poco istruita? Quale cultura sta emergendo nell'esercito di giovani e adolescenti nullafacenti, nullavolenti e nullapotenti?

È davvero il momento di trattare il Mezzogiorno d'Italia per quel che è: una macro-regione povera. E dunque, se il reddito pro-capite del Sud è pari al 56% circa di quello del Centro-Nord, ha ancora senso parlare nel mondo del lavoro di contratto collettivo nazionale? Ed è giusto che un dipendente pubblico di una provincia meridionale abbia lo stesso trattamento economico di un suo collega di Modena? La sostanziale parità delle retribuzioni pubbliche assicura al Sud una solida rendita di posizione a scapito dell'economia privata, con un divario ogni giorno più marcato, mentre la finzione del CCNL alimenta l'economia sommersa e il precariato più di quanto accada nel resto d'Italia.

Tre proposte, dunque, non esaustive ma indicative di una mentalità. La prima proposta: ridurre le retribuzioni pubbliche nel Mezzogiorno, magari salvaguardando un livello minimo, e contestualmente utilizzare quelle risorse per due grandi impieghi: la riduzione della tassazione sulle imprese e sul lavoro e un piano di investimenti tecnologici e infrastrutturali. La seconda: superare definitivamente il contratto collettivo nazionale e lasciare al Sud la sola contrattazione aziendale, pur nel rispetto di binari e criteri fissati da una legge nazionale. La terza proposta: lasciare aperte non più di 5-6 università pubbliche nelle regioni meridionali, chiudere tutte le altre e utilizzare - per quelle università che restano e su cui si decide di scommettere - le risorse per finanziare robuste borse di studio e di ricerca a studenti italiani e stranieri e per ingaggiare alcuni tra i migliori docenti del mondo. Immaginate se nel Mezzogiorno sorgesse un polo universitario d'eccellenza, attrattivo e competitivo.

Nessuna di queste tre idee sarebbe sufficiente, ovviamente, né si avrebbero effetti immediati. Ma di queste cose ha bisogno il Mezzogiorno, strumenti per diventare un luogo di opportunità, non più una zavorra.

@piercamillo