logo editorialeLa legge di stabilità - o quel che se ne capisce dalle slide e dagli annunci, non ancora dai testi - è un combinato di azzardi (le coperture attinte dal pozzo di San Patrizio della spending review de-cottarellizzata) e di ambizioni (il pompaggio fiscale e contributivo della domanda di lavoro), di svolte vere (quella sull'Irap) e di bluff (quello sul TFR). Sullo sfondo è evidente l'intenzione di uscire dalla logica degli aggiustamenti "adempimentali" (perché così vuole Bruxelles) e recessivi e purtroppo pure la tentazione sinistra di usare qualunque forma di risparmio, compresi i fondi pensione, come un bancomat di pronto uso, per rimpinguare la manovra sul lato dell'entrata.

Renzi ha sicuramente tanti difetti, ma non quello di voler tenere su un'Italia che non sta in piedi, mentre pure l'Europa se ne sta venendo giù e i "grandi" si imprigionano a vicenda. Ha fatto una legge di stabilità nel complesso più spericolata e coraggiosa di quella che ci si attendeva, meno lassista di quello che la fuga in avanti francese avrebbe consentito e l'emergenza giustificato e pure meno populista di quella che forse l'inclinazione gli avrebbe suggerito.

Si possono nutrire tutti i dubbi del caso sulla "vera" natura politica della sua leadership e del suo disegno politico-culturale, però oggi è Renzi e il suo governo l'unico interlocutore politico, istituzionale e extra-istituzionale, per far marciare quelle riforme che da qualche decennio mancano all'appello. Anche questa legge di stabilità, nel complesso, conferma che l'alternativa tra Renzi e il nulla è il nuovo volto del bipolarismo italiano.

In termini generali, il "manuale liberale", che Renzi interpreta in modo molto personale, avrebbe forse suggerito di concentrare le risorse fiscali buttate un po' sugli 80 euro (cioè su chi il lavoro ce l'ha) e un po' sulla decontribuzione dei nuovi assunti (cioè su chi il lavoro lo trova) sul varo di un progetto ambizioso di welfare to work, visto che la scommessa cruciale del governo e dell'Italia è legata a un effettivo incremento di occupabilità della forza lavoro. Da questo punto di vista, il Job Act avrebbe potuto preludere a un vero cambio di sistema, e non solo alla positiva rottamazione di un tabù.

Peraltro, sostenere fiscalmente le imprese (con la decontribuzione) e i redditi dei lavoratori (gli 80 euro, a rigore, sono una detrazione aggiuntiva, non un taglio delle aliquote fiscali) non produrrà alcun miracolo, nè nel breve, né nel lungo periodo, sui tassi di occupazione e disoccupazione, che scontano i problemi strutturali del mercato del lavoro, sia sul lato dell'offerta, che della domanda .

Renzi ha scelto un'altra strada, politicamente più discutibile e furba, ma ne è venuto comunque fuori un ottimo "meno peggio". Ha fatto tagli e redistribuzioni molto meno neutrali e molto più "popolari" di quanto sarebbe stato utile. D'altra parte, la sola assicurazione sulla vita su cui può contare, innanzitutto dentro il Pd, è la straordinaria bolla di consenso che lo sorregge e lo protegge e quindi è ovvio che faccia tutto, compresa la legge di stabilità, con un occhio al tabellino elettorale. Adesso, comunque, inizia la trattativa con Bruxelles e pure quella con le Camere. In un caso e nell'altro, il timore è che con gli eventuali aggiustamenti la manovra di Renzi possa solo peggiorare.

@carmelopalma

renzimerkel