logo editorialeQuando Marchionne, richiesto di un parere sull'attacco di De Bortoli a Renzi, risponde "Normalmente non leggo il Corriere", autorizza l'interpretazione politica più logica e coerente dell'editoriale di ieri: come una presa di distanza, più che dal capo del governo, dai nuovi equilibri e squilibri di via Solferino; una rivendicazione dell'autonomia della testata dal politico di riferimento del suo editore di riferimento.

In fondo De Bortoli difende un'idea molto corrierista e terzista del Corriere e un'abitudine a dire e contraddire secondo lo stile di un giornale "puro", pur avendo editori impuri, un azionariato gravato, non da oggi, da irrisolvibili conflitti di interessi e incline a far politica - a mezzo giornale, ma anche no - con una certa spregiudicatezza. Dove l'editoriale di De Bortoli si è fatto pizzino, evocando lo "stantio odore di massoneria", possibile che tutti abbiano pensato alle stanze di Palazzo Chigi e nessuno a quelle di via Solferino e dei salotti buoni del nostro capitalismo di relazione?

C'è anche chi pensa che De Bortoli abbia schierato il Corriere per una nuova soluzione oligarchica e abbia fatto una sorta di dichiarazione di voto per il "partito della troika" e per il commissariamento dell'Italia. È un'interpretazione che si fonda sull'equivoco del sostegno del Corriere ai due governi di larghe intese - Monti e Letta - che si sono succeduti tra la fine della scorsa e l'inizio di questa legislatura. È vero sopratutto il contrario, almeno nel caso del governo Monti.

Il Corriere non ha affatto sostenuto e soprattutto non ha culturalmente retto l'impopolarità montiana e l'impronta eccentrica di un premier di passaggio, intenzionato a raccontare il declino italiano come un default democratico, come una lenta autodepredazione maturata in un patto esplicito tra eletti e elettori, così rovesciando la retorica della Casta che al Corriere andava (e va) per la maggiore e di cui ha finito per avvantaggiarsi Grillo e alla fine anche Renzi.

Quando un Monti emarginato dal risultato del voto e intrappolato nel ruolo, non suo, di capo partito riluttante è diventato il paria della politica italiana, le colonne del Corriere grondavano sarcasmo quanto quelle dei giornali nemici, non concedendo al suo prestigioso editorialista non diciamo l'onore delle armi, ma neppure quello della verità sulle ragioni della sua ascesa e della sua caduta.

Ora, che un direttore mollato dal suo editore molli un premier forte di un consenso vasto, anche se evanescente, non sembra a tutta vista una vera dichiarazione di guerra. Ma De Bortoli continua a rappresentare qualcuno e qualcosa e sceglie di farlo in modo apertamente antagonistico e quindi partigiano. Secondo un'interpretazione un po' politicista, le sue parole potrebbero quasi sembrare una discesa in campo. Con Passera, magari. O con quanti - non senza ragioni - pensano che un paese senza opposizione e senza alternative al potere renziano sia un Paese a rischio, per lo meno di inefficienza politica.

@carmelopalma