logo editorialeLa riforma costituzionale è stata accolta ieri nell'aula del Senato dal solito casino interno - prevedibile e "telefonato", secondo lo stile della legislatura - e dal consueto casino esterno, con il Corriere della Sera (non Dagospia) che sobriamente titolava "I futuri senatori già pensano ai loro portaborse", scoprendo con meraviglia che i costi di funzionamento di Palazzo Madama potranno pur essere proporzionati al ruolo e alla dimensione del nuovo organo istituzionale, ma non coroneranno il sogno di una democrazia no cost. Se nessun pasto è gratis, figurarsi se potranno esserlo quelli consumati attorno ai cento senatori - senza stipendio e senza gettone - del nuovo Senato.

Però, a questo tono che fa la musica del discorso sulle riforme - in sintesi: affamare la politica, per sfamare il popolo - il premier si è perfettamente accordato, blindando del testo in discussione le misure più esemplarmente anti-politiche (la non elettività del Senato e la gratuità del mandato dei senatori) e negoziando invece liberamente su tutte le altre, che contano in teoria molto di più, ma in pratica niente, perché non se ne può fare, direttamente, una questione di "piccioli". Indirettamente sì, ma con troppe complicazioni per convincere un pubblico troppo diffidente.

Con la medesima intonazione, dentro e fuori dalla maggioranza, gli avversari di Renzi incalzano il premier contrapponendogli misure ancora più dure, che accrescano il saldo positivo dei tagli e dei risparmi senza sacrificare la democraticità (cioè l'elettività diretta) della seconda camera. Dalla loro hanno discrete ragioni, ma anche lo svantaggio di apparire impegnati a difendere il posto.

In questa discussione, tutta concentrata sul quantum contabile della riforma e sull'interesse personale dei neo-costituenti, delle questioni di economia istituzionale si continua a ragionare come se le camere non fossero un apparato di produzione, di cui migliorare l'efficienza, ma un incubatore del parassitismo politico da tagliare e sterilizzare senza pietà, come si fa con le chiome che nascondono i pidocchi.

In Italia non è mai attecchito l'ideale dello Stato minimo, ma sta spopolando in sua vece quello della democrazia minima, un ideale di bellezza anoressica e punitiva, che è l'altra faccia - ugualmente suicidaria - di quel disturbo del comportamento alimentare che ha, in altri tempi, disinibito in modo perfino grottesco gli appetiti di eletti ed elettori, coalizzati, finché ce n'era, nella grande abbuffata della nostra democrazia di scambio e oggi, che non ce n'è più, in una sorta di esorcismo collettivo contro il maligno del professionismo politico.

Se la discussione sulle riforme rimarrà intrappolata nella cattiva coscienza dei professionisti dall'anti-Casta, ci sarà alla fine ben poco da rallegrarsi dello spettacolo e dei suoi esiti. Una riforma costituzionale intossicata dalle parole d'ordine del qualunquismo bipartisan rischia di nascere non solo vecchia, ma morta. L'ennesimo tributo all'ipocrisia della nazione.

@carmelopalma