logo editorialeIl risultato del Pd è stato il solo successo europeista e "centripeto" in un continente che lo scorso 24 maggio ha visto quasi ovunque prevalere spinte anti-europeiste e "centrifughe" rispetto agli assetti e alle istituzioni dell'Ue. La grande coalizione che governerà l'Europa nel prossimo quinquennio e che ha il volto vecchio (e neppure antico) di Jean-Claude Juncker e di Martin Schulz è, nello stesso tempo, un effetto inevitabile della sfida euroscettica e una risposta sbagliata al processo di rinazionalizzazione della politica europea.

Da questo punto di vista, ha ragione Renzi a sostenere che non è il rispetto formale del voto per il PE, con la maggioranza relativa dei seggi assegnata ai partiti popolari, a rappresentare un'innovazione sostanziale, né un passo avanti nella democratizzazione dell'Unione. E coglie certamente nel segno quando sostiene che il selfie dell'Europa restituirebbe l'immagine della rassegnazione e della noia.

Tra le diverse metafore che il Presidente del Consiglio italiano ha usato oggi a Strasburgo nel suo discorso di apertura del semestre di presidenza italiano, quella sulla "generazione Telemaco" accusa esplicitamente i figli dell'Europa unita di non meritare e difendere l'eredità dei padri, cioè di non sapere adeguare alle sfide dei tempi quell'ideale di unità e di grandezza rappresentato dalla costruzione europea. L'immagine è suggestiva, ma non coglie nel segno.

Quest'Europa, nei suoi difetti di "anima" e di "macchina", è esattamente quella costruita dai padri di Maastricht, con la visionaria fuga in avanti della moneta unica e la precipitosa marcia indietro dall'"illusione" federalista dell'unione politica. Quell'Europa si è progressivamente allargata (passando da 12 a 28 stati membri), senza mai rimediare a una condizione di desolante minorità politica. Da Sarajevo alla crisi ucraina è un susseguirsi di umiliazioni e di auto-tradimenti. Poi la crisi economica e finanziaria, dalla fine degli anni zero a oggi, ha mostrato anche tutti i limiti (prima istituzionali, poi culturali) del sistema di governo politico dell'eurozona.

La casa europea non è occupata dai Proci - se così Renzi intende gli esponenti del nazionalismo anti-politico e anti-europeo - ma continua a essere abitata e governata da fratelli minori e delegati dei fondatori dell'Ue post-guerra fredda. La generazione dei figli per "salvare l'Europa" deve proprio farne un'altra, di nuovo conio, o tirare questa fuori dal guado in cui è rimasta intrappolata, a metà strada tra integrazione e disintegrazione. Non sappiamo che idee sul punto abbia Renzi, ma il problema sembra decisamente più complicato di quello di un'interpretazione più flessibile dei parametri di Maastricht o del chiacchiericcio insignificante sul trade off tra crescita e rigore.

@carmelopalma

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