logo editorialeQuando Bersani vinse le primarie per perdere le elezioni politiche e costringere il PD a riavviare rapidamente la macchina congressuale, c'era oggettivamente il rischio che l'allora sindaco di Firenze uscisse bruciato da una prematura promozione a capo in una legislatura sbagliata in sé e sbagliatissima per lui, che in Parlamento aveva contro tutti, compreso il grosso della truppa PD.

Sembrava cioè che Bersani avesse fatto due volte male a Renzi, prima battendolo alle primarie pre-elettorali e poi costringendolo a soccorrere il PD uscito dalle urne a pezzi e incredulo di un risultato così inferiore alle previsioni. Renzi è invece riuscito nel giro di pochi mesi in un'impresa decisamente difficile, prendendosi rischi mostruosi, sacrificando Letta e portando il Pd a diventare il "partito-sistema". Ora, dopo una lunga rincorsa elettorale coronata da un successo ingigantito dal pericolo grillino, si apre davvero la fase del governo, con tutte le incognite del caso.

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Col senno di poi, si può dire che Renzi, che di fatto ha scalato il PD contro il PD rottamando i feticci e il lessico familiare della sinistra post-comunista e anche ulivista, è però un fenomeno straordinariamente made in PD, un prodotto di un partito che prima con Veltroni e poi con Bersani ha tenuto fermo il proprio elemento fondativo, rappresentato non solo dalle primarie, ma dall'idea che solo un'effettiva contendibilità delle cariche di potere avrebbe garantito la stabilità e la continuità di un soggetto politico abbastanza "inventato" e privo di una vera tradizione storica.

Il partito americano di Veltroni e la ditta di Bersani hanno tenuto entrambi fede a questo principio e hanno fatto del PD l'unico partito italiano non autocratico e non oligarchico. Renzi, che ha una leadership molto italo-berlusconiana, empatica e simpatica, ottimistica e sorridente e istintivamente antipolitica, lontanissima quindi dallo stile dei suoi predecessori, non sarebbe stato leader di nulla senza un partito vero a cui appoggiare la scala del suo assalto al cielo.

In un Paese in cui sono i leader a fondare e poi affondare i partiti fino a portarseli nella tomba politica, questa dinamica così normale - che siano cioè i partiti a produrre i leader e a sopravvivere loro - suona invece "strana". Tra le tante lezioni che la vittoria di Renzi sta dando al centro-destra italiano questa è la più preziosa, ma anche la più rifiutata.

@carmelopalma