Da lunedì avremo la conferma di quel che le scorse elezioni politiche avevano già suggerito: la democrazia italiana è ormai paralizzata, il bipolarismo si è frantumato, il voto anti-sistema si è strutturato e i governi di larghe intese rischiano di diventare la norma.

A differenza dei suoi principali avversari elettorali, Matteo Renzi è investito della responsabilità di governare e ciò lo costringe su un sentiero molto stretto: da un lato, lavorare ovviamente perché il PD abbia il più ampio consenso possibile; dall'altro, sperare che le forze minori della maggioranza parlamentare raccolgano un risultato percentuale sufficiente a irrobustire la coalizione di governo "europeista".

Secondo gli ultimi sondaggi pubblicati e le indiscrezioni più recenti che circolano in rete, NCD potrebbe superare lo sbarramento del 4% mentre Scelta Europea godrebbe di un consenso minore. Oltre alla gara per la palma di primo partito, in cui il PD gareggia da favorito con il M5S, e a quella per il superamento dello sbarramento per l'accesso ai seggi all'europarlamento, esiste una "gara a squadre". Se la somma di PD, NCD e Scelta Europea supererà il 40% dei voti, il presidente del Consiglio potrà guardare con maggiore tranquillità ai prossimi mesi, in cui le priorità saranno quelle di sempre: la politica economica e le riforme istituzionali, a cominciare da quella elettorale.

Per Angelino Alfano e il suo partito, la fase post-elettorale rappresenterà il momento delle scelte: o taglia definitivamente il cordone ombelicale con Berlusconi e Forza Italia, attrezzandosi alla guerra contro i media berlusconiani che proveranno a schiacciarlo "a sinistra", o riapre il tavolo di discussione con il Cavaliere, di fatto riconoscendo la sua primazia nel centrodestra e indebolendo il governo Renzi.

Anche per Scelta Civica, su cui si proietteranno gli effetti politici del risultato di Scelta Europea qualunque esso sia, il dopo-voto sarà un tempo difficilissimo. Senza una leadership riconosciuta e riconoscibile e senza un racconto da offrire se non l'eredità del "montismo", non potrà sopravvivere a lungo. Si integrerà con un NCD "de-berlusconizzato"? Tenterà la carta di un allargamento effettivo ai mille rivoli della diaspora liberale? Entrerà pienamente nell'orbita del PD renziano?

Lo stesso PD vivrà una fase turbolenta, perché le attuali opposizioni interne continueranno a lavorare Renzi ai fianchi, pronte a coglierne tutte le debolezze e a segnalarne gli errori e i troppi strappi rispetto alla "ortodossia".

Sarà proprio Renzi, e solo lui, a condizionare in un senso o nell'altro le scelte dei suoi piccoli alleati di governo e a dover affermare di nuovo la sua leadership all'interno del Partito Democratico. Nella democrazia bloccata, il premier potrebbe offrire agli alleati un patto per il presente e il futuro: dare un orizzonte temporale certo all'attuale legislatura, stabilizzare la "coalizione europea", concentrarsi seriamente sul governo del Paese, affermare un ruolo attivo dell'Italia nelle difficili e auspicabili riforme dell'Unione Europea e prefigurare un'alleanza elettorale per le prossime elezioni politiche.

Ma tutto questo può accadere solo se il consenso per la maggioranza di governo è sufficiente a superare almeno "quota 40". Se invece Renzi fosse costretto a scegliere la strada del PD solo al comando o se non riuscisse a contenere la costante opposizione interna al partito, le elezioni politiche arriveranno molto presto, magari con il cosiddetto Consultellum. Né Beppe Grillo, né Silvio Berlusconi si straccerebbero le vesti.