logo editorialeDei rapporti incestuosi e corrotti tra politica e affari, la causa è l'incesto - l'alto grado, diciamo così, di "integrazione" tra stato e mercato, cioè tra sistema dei partiti e imprese - e l'effetto è la corruzione, cioè la cattura del regolatore da parte del regolato, da cui discende una prevalenza politicamente imposta e assistita di interessi particolari su interessi generali.

La cattura può avvenire in modi debiti o indebiti, cioè con mezzi legali o illegali, ma rimane in ogni caso il nodo da sciogliere o da tagliare per restituire efficienza e trasparenza ai processi economici. Questa esigenza appare evidente negli appalti di opere, beni e servizi per le pubbliche amministrazioni, ma non è meno centrale, anche se meno visibile, anche in quei mercati in cui lo Stato nazionale o locale - cioè, alla fine, il sistema politico - non è né committente, né cliente, ma può comunque condizionare pesantemente le forme e gli esiti della competizione economica.

Tutto questo, in Italia, è aggravato dal fatto che agli incentivi sistemici, cioè istituzionali, della corruzione si sommano sostanziali disincentivi culturali a separare il "generale" della regola e il "particolare" dell'interesse. Nella nostra democrazia di scambio, eletti e elettori parlano la stessa lingua. Insomma, non c'è alternativa se non far danno o patirlo; bisogna farsi furbi, per non essere fatti fessi - così va il mondo e la politica, che non deve garantire alcuna neutralità, ma deve farsi carico salomonicamente di tutte le richieste.

Quando la penuria o l'accaparramento delle risorse dispensate rende complicata o impossibile la redistribuzione dei benefici e il numero di quanti si sentono fatti fessi dalla politica aumenta pericolosamente, il sistema va in crash. È successo con Tangentopoli, che non a caso coincise con la fine dell'illusione del benessere a debito, torna a succedere oggi in una fase di crisi altrettanto acuta, a cui la politica non può rispondere "comprando consenso".

Gli scandali legati ad Expo rischiano quindi di suscitare le stesse illusioni politiche di Tangentopoli. Si tornerà a giocare a guardie a ladri, agli onesti contro i disonesti e a autorizzare una lettura puramente criminologica della corruzione che affligge la vita pubblica, come se delle migliaia di quotidiane transazioni regolate ex lege o contra legem ma ugualmente corruttive, tutto rimandasse a una cupola di vecchi padrini e a una struttura di comando verticale. Le ordalie appartengono al repertorio trasformistico della democrazia italiana e non producono alcun regime change. Delle cause istituzionali e culturali del malaffare non ci libereremo, neppure stavolta, per via giudiziaria. Per affrontare il problema occorrerebbe riconoscerlo, non rimuoverlo rifugiandosi in una lettura moralistica e politicamente auto-indulgente della corruzione italiana.

@carmelopalma