logo editorialeDei fondi, più di 13 miliardi di euro, che lo Stato ha assegnato alle regioni per sanare i debiti della Pubblica Amministrazione, 2,6 miliardi non sono stati ancora utilizzati. Sono cinque le regioni che ancora non hanno fatto la loro parte per nulla o per intero: la Calabria, che su 357.703.006 euro assegnati non ha ancora pagato debiti per 194.760.000 euro, di cui 177.368.000 dovevano essere utilizzati per debiti non sanitari e 17.392.000 euro per debiti sanitari; la Campania, che non ha ancora impiegato 936.594.188  euro (tutti per debiti sanitari) dei 2,41 miliardi assegnati; il Molise, che di 71.745.000 stanziati ne ha finora trattenuti 16.363.479. Infine Sicilia e Sardegna, che ancora non sono riuscite ad impiegare un solo centesimo dei circa 95 e 160 milioni di euro stanziati. Il tutto con buona pace delle imprese fornitrici della pubblica amministrazione, che restano in paziente attesa.

E proprio di attesa si tratta, poiché all'origine del mancato utilizzo di questi fondi, oltre alla tradizionale incapacità di queste regioni ad impiegare danari sottratti al loro discutibile arbitrio e vincolati ad utilizzi imposti dall'alto, come per esempio i fondi europei, c'è un altro vecchio vizio della Pubblica Amministrazione: a quanto fanno sapere dal MEF, i debiti contratti non sono stati mai iscritti a bilancio, e quindi ad oggi non possono essere ancora liquidati. Cosa che riporta l'attenzione sul modo in cui le amministrazioni locali hanno, negli ultimi anni, scaricato sugli anelli più deboli della catena il costo dei tagli lineari di età tremontiana. La non iscrizione a bilancio di una parte dei propri debiti è funzionale proprio a questo: meno soldi in cassa, i fornitori aspetteranno. Per chi ancora si facesse illusioni, la bestia sa sempre chi affamare.

Ed oggi a via XX settembre si chiedono come gestire la cosa. Il problema è più spinoso del previsto, dato che il piano di Padoan da 60 miliardi di euro per chiudere la partita dei debiti della Pubblica Amministrazione è proprio ora all'esame di Bruxelles: prevede l'accelerazione del pagamento della seconda tranche di debiti (20 miliardi di euro) anche attraverso la compensazione debiti/crediti, l'utilizzazione della fatturazione elettronica e di una piattaforma su cui le aziende creditrici possano registrare il proprio "credito" proprio per evitare le furbate di cui sopra. Per il resto sarebbe prevista l'emissione di titoli garantiti dalla Cassa Depositi e Prestiti, ma è proprio sulla possibilità di emettere nuovo debito che pesa come un macigno il comportamento delle regioni che non spendono i soldi che sono già stati loro consegnati. E' quel filo sottile che lega la sovranità (anche quella declinata nelle forme più cialtronesche del dibattito politico italiano), alla responsabilità e alla credibilità.

Intanto, a completare il quadro di questo federalismo da operetta che ci trasciniamo dietro da vent'anni, e del quale abbiamo tracciato un ritratto nella nostra ultima monografia, registriamo l'iniziativa dell'Assemblea Regionale Siciliana, che ha sì abolito le 9 province della regione autonoma, ma le ha sostituite con altrettanti "liberi consorzi di comuni" (e tre aree metropolitane, in sovrappiù), tracciando al contempo le linee guida per istituirne di nuovi: stesse attribuzioni, stesse competenze, stessi costi, più o meno stessi organi, un passaggio democratico in meno per la loro elezione. E non è mancato, a sostegno di questa perla, il voto favorevole del M5S.

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