La Costituzione, con l’intento di sottrarre i partiti a indebite influenze e di preservarne l’autonomia, ha concesso loro la massima discrezionalità, senza obblighi di trasparenza di nessun genere. La situazione oggi sta cambiando, ma le riforme proposte saranno davvero efficaci?

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I partiti politici tornano a essere tema di interesse per il Parlamento, in quanto oggetto di diverse proposte di legge presentate negli ultimi mesi.

In Italia essi non sono mai stati regolati da una disciplina generale: ciò trova spiegazione nella genesi dell’art. 49 Cost., che riconosce a tutti i cittadini la libertà di associarsi al fine di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Con questa generica formulazione l’Assemblea Costituente aveva inteso, per evidenti ragioni contingenti al periodo storico appena trascorso, evitare ogni ingerenza statuale nel funzionamento interno di tali formazioni sociali; aveva comunque sancito la democraticità del “metodo” nella loro azione esterna quale garanzia di pluralismo.

I partiti politici vennero pertanto configurati quali associazioni prive di personalità giuridica, mediante le quali i cittadini possono partecipare in forma aggregata al governo della comunità. Dunque, al fine di evitare che un intervento legislativo in ambiti riservati all’autonomia di tali soggetti potesse tradursi in limitazione, soprattutto in un controllo di tipo ideologico sulla loro vita interna, per molto tempo essi sono stati sottratti a ogni forma di regolazione.

Nel tempo, questa impostazione ha cominciato a essere messa in discussione, soprattutto in forza dell’esigenza che il finanziamento pubblico ai partiti venisse assistito da una qualche forma di controllo sull’impiego dei fondi erogati: al riguardo, ha senz’altro inciso la necessità di contenere i costi a carico dello Stato e una diffusa istanza di “moralizzazione”, date l’entità dei fondi pubblici percepiti, la gestione opaca e scriteriata, nonché l’assenza di collegamento con le spese realmente sostenute. Sotto diverso profilo, è altresì invalsa progressivamente la consapevolezza che le modalità di funzionamento interno dei partiti non fossero un tema esclusivamente privato, bensì connesso in maniera significativa al loro ruolo di raccordo fra i cittadini e il potere, e che pertanto dovessero essere in qualche modo disciplinate.

La legge n. 96/2012 iniziò a cogliere queste sollecitazioni, disponendo, tra le altre cose, la riduzione dei contributi a carico dello Stato, la sottoposizione dei bilanci dei partiti al giudizio di società di revisione iscritte all'albo della Consob, il controllo di una apposita Commissione sui bilanci revisionati, l’obbligo di uno statuto conforme a “principi democratici nella vita interna” e di un atto costitutivo quali condizioni per accedere ai contributi previsti dalla legge, la pubblicità degli statuti stessi, dei rendiconti di esercizio e dei documenti a essi correlati sui siti internet.

Con questa legge l’Italia intese recepire buona parte delle raccomandazioni formulate nel marzo 2012 dal Groupe d’Etats contre la corruption (GRECO, Consiglio d’Europa). Il decreto-legge n. 149/2013 ha proseguito l’opera di regolamentazione dei partiti, sostituendo progressivamente il sostegno pubblico diretto con forme di contribuzione volontaria e indiretta e legando in modo strutturale il nuovo modello di finanziamento “ad un sistema di regole che garantisca la democrazia interna dei partiti politici e la trasparenza del proprio funzionamento e dei propri bilanci”. In questo modo, si è cercato di conciliare la libertà sancita costituzionalmente con alcuni vincoli correlati all’intervento pubblico di sostegno.

Tuttavia, la trasparenza prevista dalla legge per queste formazioni sociali, in quanto destinatarie di risorse pubbliche, ha mostrato in concreto diversi lati oscuri: dalla prevalenza della riservatezza dei donanti rispetto agli obblighi di disclosure del partito, all’opacità delle erogazioni inferiori a una certa entità, all’assenza di sanzioni in caso di mancato allestimento di un sito internet. Successivamente, anche l’Italicum ha toccato il tema dei partiti, disponendo che il deposito dello statuto redatto in forma di atto pubblico, oltre al contrassegno, sia condizione per l’ammissione alle consultazioni elettorali.

Nonostante i recenti interventi del legislatore, la percezione dell’inadeguatezza di queste formazioni sociali a rappresentare utilmente le istanze provenienti dalla società civile – rafforzata da un sistema elettorale a liste bloccate (poi dichiarato in larga parte incostituzionale), da una impostazione sempre più “leaderistica”, dalla scarsa efficacia dei principi di pubblicità e trasparenza contenuti nella normativa vigente nonché da vicende giudiziarie riguardanti taluni esponenti politici - ha fatto sì che il “metodo democratico” divenisse nuovamente oggetto di riflessione. Tale metodo, che già il decreto-legge n. 149/2013, superando l’impostazione costituzionale, considerava come requisito “interno” da incentivare, ha cominciato così ad assumere un’autonoma rilevanza, in quanto valore non necessariamente legato alla percezione di benefici economici, ma meritevole di essere tutelato mediante la predisposizione di garanzie inerenti al funzionamento dei partiti. Dall’evoluzione sopra esposta scaturiscono le recenti proposte normative, finalizzate a dare attuazione all’art. 49 Cost..

Le suddette proposte, nonostante alcune differenziazioni e un diverso livello di pervasività e articolazione, sono improntate al comune intento di disciplinare i partiti politici come organizzazioni collettive strutturate, tenute ad assolvere determinati adempimenti non solo in vista dell'accesso a vantaggi finanziari.

In particolare, da una lettura complessiva dei disegni di legge e delle rispettive relazioni di accompagnamento emergono, quali elementi di maggiore rilievo, tra gli altri, l'obbligo di acquisire la personalità giuridica e di conformare lo statuto a standard di democrazia interna (ad esempio, mediante la previsione delle modalità di partecipazione degli aderenti alle fasi di formazione della proposta politica, delle procedure di ammissione e di espulsione dal partito, nonché di selezione delle candidature alle cariche pubbliche, la tutela delle minoranze, la promozione della parità di genere ecc.); l'iscrizione in un Registro nazionale come condizione per la partecipazione alle elezioni politiche; l’osservanza di regole in materia di trasparenza dei rendiconti. In caso di violazione delle prescrizioni sono inoltre disposte sanzioni amministrative, la cancellazione dal Registro e la perdita di benefici economici. Infine, si prevede una delega al governo per la disciplina delle “primarie”, nonché per l’adozione di un testo unico che raccolga le norme in materia di attività politica, campagne elettorali e altri profili attinenti all’attività dei partiti.

Con riguardo alle proposte citate, si possono formulare alcune considerazioni generali. Di certo si può convenire sul fatto che il livello di democraticità di un partito non è questione esclusivamente “privata”, perché “è evidente che, se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere indirizzo democratico nell’ambito della vita politica del Paese” (Moro). Parimenti, appare condivisibile l’esigenza di “sottoporre l’amplissima libertà dei fini che la Costituzione riconosce ai partiti almeno al controllo democratico da parte degli associati” (Merlini).

Tuttavia, la complessiva disciplina proposta dai disegni di legge citati presenta luci e ombre che è opportuno rimarcare. In quest’ottica, se va vista favorevolmente la previsione della personalità giuridica quale “status” (richiesto peraltro dal citato Greco) che consente un’autonomia patrimoniale perfetta (ossia la distinzione del patrimonio dell’associazione da quello degli aderenti), c’è però da osservare che rilevanti oneri e controlli, ai sensi del codice civile, graveranno sui partiti una volta dismesso lo stato di associazioni non riconosciute.

Parimenti, se rappresenta fattore di stabilità e certezza la partecipazione alla competizione elettorale solo di quelli aventi determinati requisiti - e non di gruppi occasionali - va tuttavia sottolineato che ciò potrebbe comportare una limitazione del pluralismo; inoltre, gli adempimenti necessari per l’ammissione alle consultazioni elettorali e i tempi della Commissione incaricata per espletare i controlli conseguenti potrebbero, in taluni casi, tradursi in un ostacolo per i nuovi partiti.

Ancora, se è innegabile la funzione deterrente delle sanzioni previste, tuttavia l’eccessiva entità di alcune di esse potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza delle formazioni dotate di minori risorse, impoverendo così il panorama dei soggetti politici nazionali. Inoltre, se può giudicarsi positivamente la mera facoltatività di elezioni primarie, tuttavia la loro sottoposizione alle norme statuali, nel caso in cui vi si ricorra, potrebbe comprimere eccessivamente l’autonomia privata.

Infine, se la possibilità di verifica e controllo circa la gestione politica e finanziaria operata dai partiti viene opportunamente consentita agli aderenti mediante pubblicità e trasparenza di determinati documenti e informazioni, tuttavia i disegni di legge in discorso non sembrano incidere sulle aree di opacità consentite dal d.l. n. 149/2013, sopra rilevate. Dunque, occorre che il legislatore presti estrema attenzione al bilanciamento degli interessi coinvolti, poiché assai labile è il confine oltre il quale le regole su struttura e funzionamento dei partiti, nonché i relativi controlli amministrativi e giurisdizionali, in aggiunta a quelli già spettanti agli organi di “giustizia interna”, potrebbero risolversi in un’azione di ingegneria costituzionale.

In conclusione, il delicato rapporto tra diritto e politica va maneggiato con cura, affinché non risulti eccessivamente ristretta la libertà, individuale e collettiva, in cui i partiti si sostanziano. Il modello della loro organizzazione interna e i fini che essi si propongono di raggiungere “possono risultare connessi in un modo così inscindibile da trasformare i limiti al primo in un limite ai secondi” (Merlini): occorre pertanto evitare che determinate opzioni di regolazione vengano usate a scopi strumentali, introducendo elementi distorsivi nella competizione elettorale.

Soprattutto, va tenuto presente che “il problema della democrazia interna dei partiti investe la cultura politica dell’intera comunità: solo in parte, dunque, può essere risolto attraverso le leggi” (Cermel). Pertanto, la sanzione sociale, oltre che quella irrogata in occasione del voto, può risultare più efficace di qualunque normativa.

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