logo editorialeÈ improbabile che ci sia un piano di Renzi per soffiare oggi a Letta la poltrona di Palazzo Chigi. È più probabile che ci sia un piano di altri, nel Pd e fuori dal Pd, per costringere Renzi a compromettersi con il governo e a "sporcarsi" con la logica delle grandi intese, da cui, se potesse, il segretario del Pd si terrebbe volentieri alla larga. Ed è logico che per riuscire in questo piano quasi nessuno, dentro e fuori dal Pd, si farebbe scrupolo di licenziare Letta, cui a quel punto non basterebbe il sostegno di Napolitano.

Di fronte a Renzi c'è dunque il rischio che la paralisi dell'esecutivo e il sempre più evidente auto-ostruzionismo di Alfano e delle forze minori della maggioranza lo costringa a scendere personalmente in campo, per salvare la prospettiva delle riforme, che una crisi di governo renderebbe ancor più perigliosa. Ma connesso al primo c'è un secondo rischio, per il segretario del Pd. Di andare al governo senza passare dal voto, come – avrebbe forse detto un po' di tempo fa – un D'Alema qualsiasi e di affogare nelle sabbie mobili di una maggioranza, che per la gran parte ha interessi diversi dai suoi.

Per evitare questo rischio, non è credibile che Renzi continui a trattare la questione del governo come un problema d'altri e a ostentare un disinteresse che suona francamente grottesco per chi rappresenta il partito che dell'esecutivo è l'azionista di maggioranza. D'altronde Renzi, anche sul piano programmatico, non può continuare a riservarsi le carte migliori per il "dopo" (quale dopo?), senza metterle sul tavolo della discussione con la stessa urgenza che ha giustamente preteso venisse riconosciuta al dossier elettorale.

Un governo sospeso sul vuoto, un esecutivo di nessuno utile solo a tenere in piedi la legislatura per completare la riforma elettorale, sarà comunque un problema per Renzi, anche se continuasse a tenerlo a distanza e a lasciare a Letta l'incombenza di andare avanti quando può e di fermarsi quando deve. Se non vuole diventare, suo malgrado, il nuovo D'Alema ed essere costretto a fare ciò che non vorrebbe, il segretario del Pd deve smettere di essere il vecchio Renzi e di ostentare un'estraneità quasi morale alle "questioni di Palazzo", come se quella del governo fosse una di queste.