Tutti sappiamo che per ridurre la pressione fiscale bisogna tagliare la spesa pubblica. Se questo non avviene è perché nessuno vuole rinunciare ai propri privilegi, piccoli o grandi che siano. Gli sprechi e le spese eccessive riguardano sempre e solo “gli altri”, mai noi stessi o la nostra personale cerchia di interessi.

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Tra il 2008 e il 2014 sono state adottate in Italia oltre 700 misure in materia fiscale di aggravio, di sgravio o di modifica del sistema di prelievo. Negli anni della crisi, l’affannata ricerca della sostenibilità finanziaria ha finito per rendere ancora più complicato e frammentato il pagamento delle tasse. Dal 2009 ad oggi il gettito per l’erario è aumentato di oltre 55 miliardi di euro, con un incremento della pressione fiscale del 2,5% circa (o comunque del 2%, se consideriamo il bonus Irpef da 80 euro come sgravio).

Proprio qualche giorno fa la Corte dei Conti, attraverso il presidente di coordinamento delle sezioni riunite Enrica Laterza, ha denunciato la difficile tollerabilità di una tale pressione fiscale. “In una fase di emergenza economico-finanziaria - ha dichiarato Laterza - la politica fiscale è stata piegata ad obiettivi immediati di gettito, al fine di garantire gli equilibri di finanza pubblica. (…) Ne è risultata sacrificata l'esigenza di una ragionata revisione strutturale del sistema fiscale, che consenta di pervenire ad una minore onerosità e ad una maggiore equità distributiva". Le vicende della tassazione sulla casa e sui servizi all’abitare – dall’Ici alla Tasi, passando per l’Imu, la Tari, la Tasi, la Tarsu, la Tia e così via – sono un fulgido esempio della schizofrenia della politica fiscale italiana, troppo spesso piegata a esigenze propagandistiche più che di razionalità ed efficienza.

Siamo tra i paesi con la più alta pressione fiscale d’Europa, superati solo da realtà (Finlandia, Francia e Belgio) con un grado di efficienza dei servizi pubblici maggiore del nostro. Sappiamo tutti che moltissime imprese e piccoli professionisti adottano strutturalmente pratiche di elusione e di evasione fiscale, senza le quali banalmente non potrebbero sopravvivere. Subiamo ormai da anni una massiccia tassazione patrimoniale in forme varie e ambigue, dalla tassazione immobiliare a quella sulle attività finanziarie, con la quale abbiamo messo in ordine i conti pubblici, ma con cui stiamo costantemente impoverendo il famigerato “risparmio degli italiani”.

Anche quando si riesce a ridurre il carico fiscale (vedi il bonus Irpef e la parziale eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile Irap), agli occhi di molti contribuenti il sistema sembra congegnato in modo che a un taglio statale corrisponda sempre un aumento della tassazione locale, perché troppo spesso per coprire finanziariamente una riduzione fiscale si attinge alla cassa degli enti territoriali.

Come uscirne? Come davvero moderare la voracità del fisco? Semplice, tutti conoscono la risposta: riducendo la spesa pubblica. E perché non si fa? Altrettanto semplice: sono gli italiani che, alla prova dei fatti, sono allergici al taglio della spesa. O meglio, lo vogliono in teoria, ma non in pratica. Tutti si dichiarano a favore della lotta agli sprechi, chiunque vuole la drastica riduzione delle auto blu, dei vitalizi dei politici o delle pensioni d’oro degli alti burocrati, ma nessuno accetta di rinunciare a un proprio piccolo o grande privilegio.

Le recenti sentenze della Corte Costituzionale sul blocco della rivalutazione delle pensioni o sulla contrattazione del pubblico impiego non esprimono solo il pensiero di una ristretta cerchia di ottimati ideologicamente orientati, ma sono la traduzione in alto legalese della cultura dominante tra noi italiani, secondo cui il salario pubblico e la pensione sono “variabili indipendenti. Non è d’altronde questo il Pase dove una riforma delle pensioni, approvata con il passo dell’emergenza e tesa a dare sostenibilità presente e futura alla previdenza, è considerata come il male assoluto e la prima causa dell’impoverimento?

Con il loro famoso libro “La Casta”, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella credevano di aver fornito un servizio utile al Paese, ma hanno finito per offrire invece un alibi perfetto, uno straordinario giacimento di annedoti auto-assolutori per gli italiani. Troppi sono fermamente convinti che il problema della spesa pubblica italiana sia dato esclusivamente dalle auto blu e dai costi della politica.

L’ospedale di Borgo Quattro Case andrebbe chiuso, per efficientare la spesa e migliorare l’ospedale del capoluogo di provincia? Nulla da fare, la popolazione si mobilita - con il sindaco, il parroco, la scolaresca, qualche povero paziente strumentalizzato - scende in piazza e chiede piuttosto il taglio delle auto blu e delle pensioni d’oro. C’è sempre una possibile auto blu da tagliare prima di chiudere l’ospedale, e sempre ci sarà. Gli sprechi e le spese eccessive riguardano sempre e solo “gli altri”, mai noi stessi o la nostra personale cerchia di interessi.

D’altronde, vi siete mai chiesti perché in Italia è più popolare Raffaele Cantone (il super commissario anti-corruzione) di Carlo Cottarelli (il già commissario alla revisione della spesa)? Perché la lotta alla corruzione è una straordinaria e consolante cornucopia di giustificazioni, mentre la revisione della spesa è una straziante e concreta assunzione di responsabilità di ognuno di noi.