Trentotto modifiche relative alla tassazione sulla casa negli ultimi mesi (il dato lo ricorda oggi Luigi La Spina sulla Stampa) posson bastare? Chissà. Per ora bastano, e avanzano, per misurare il tasso di lucidità del governo italiano. Che è molto basso, come ha dimostrato anche la poco edificante vicenda - poi fortunatamente rientrata - dei 150 euro lordi mensili da sottrarre alle prossime buste paga degli insegnanti per un precedente pasticcio sugli scatti di anzianità. 

C’è, in entrambi i casi, non solo la fotografia di un esecutivo che procede a tentoni, quasi immobilizzato da tensioni politiche con cui interagisce sempre più passivamente, ormai incapace di delineare una road map per il paese di lungo periodo e di ampio respiro; c’è anche la conferma dell’incapacità (e dell’impossibilità) di stringere un patto con i cittadini, di comunicare i propri programmi e di spiegarne il senso, insomma di rendere partecipi gli italiani del percorso, certamente difficile, di uscita dalla crisi.

Con la retorica degli annunci e delle promesse - un male del quale la politica italiana non sembra riuscire a liberarsi, nemmeno di questi tempi - e con l’evocazione mensile della “luce in fondo al tunnel” si tenta di coprire una realtà fatta di piccole, piccolissime decisioni, spesso improvvisate, talvolta volutamente opache, quasi che si abbia timore di raccontare al paese ciò che si sta facendo, perché in fin dei conti qualunque governo politico, per quanto “d’emergenza” e “di coalizione”, non sa e non può fare a meno di guardare l’orologio delle prossime elezioni.

Non permettere ai cittadini di sapere quante tasse si pagheranno, né quando andranno versate, e giocare con gli stipendi (già magri) dei professori, non sono piccoli incidenti di percorso. Sono il segnale di un governo che sta pericolosamente recidendo il rapporto di fiducia con i cittadini, ridando fiato a un’opposizione (che in Italia si chiama Grillo e Berlusconi, per intendersi) che non ne meriterebbe affatto. Al confronto, il tanto vilipeso governo Monti, che pure nasceva con un orizzonte non di legislatura e non poteva contare sulla presenza di dirigenti di partito, ha avuto una capacità di visione e di azione sicuramente maggiore.

Dunque ha ragione Enrico Letta: serve un nuovo patto programmatico per il 2014. Ma certo non basterà un altro “papello” di buone intenzioni, né il solito richiamo alle “tante riforme che servono al paese” (sempre le stesse che si attendono da anni, peraltro) per dare forza e vigore al suo governo. Che è stato chiamato a rafforzare quanto fatto nei mesi precedenti dall’esecutivo tecnico, non certo a edulcorarlo, diluirlo, dilazionarlo. A luglio si apre il semestre italiano di presidenza europea, citato dal premier come una delle ragioni per cui non possiamo permetterci di tornare al voto. È anche vero, però, che barcamenandosi giorno per giorno non si può guidare l’Italia fuori dalla crisi, e men che meno l’Europa. È troppo chiedere se c’è qualcuno al timone, signor Letta?