logo editorialeUn giornale che si occupa di cultura politica ed economica riflette sulle ragioni delle cose, ed evita di speculare e puntare il dito – a seconda della propria convenienza politica o ideologica – contro untori e fornai di manzoniana memoria. E’ con questo spirito che abbiamo intrapreso l’avventura di Strade. E sono notizie come questa a fornirci quotidianamente l'evidenza di quanto ce ne fosse bisogno.

Malgrado la notizia non abbia avuto l’eco mediatica riservata in passato ad eventi analoghi, da alcuni giorni l’area del Sud-Est asiatico è colpita da Haiyan, uno dei più forti tifoni mai registrati, che ha già mietuto più di diecimila vittime nelle sole Filippine. Agli occhi di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, la notizia della tragedia è sembrata la migliore occasione per caricare di ideologia a buon mercato il dramma che stanno vivendo milioni di asiatici. L’ha fatto con un tweet che da solo basterebbe a spiegare la regressione dell’estrema sinistra italiana al rango di micropartiti dello zero virgola.

turboferrero

Data il livello dell'esternazione, mai come oggi possiamo rallegrarci del mancato raggiungimento della soglia di sbarramento da parte di Rivoluzione Civile, cosa che ha comportato l’esclusione di Ferrero – oltre che di Ingroia e Di Pietro – dal Parlamento. Sarebbe interessante capire chi o che cosa sarebbe secondo Ferrero responsabile per le calamità naturali che si sono susseguite regolarmente nel corso della storia quando mancavano ancora secoli prima che si instaurasse – chiamiamola così per rallegrare i compagni di Rifondazione – la temibile sovrastruttura capitalista. L’era glaciale e l’estinzione dei dinosauri saranno mica colpa degli speculatori di Wall Street? E la peste nera del Trecento non sarà da imputare alle politiche thatcheriane?

C’è sempre un untore o un fornaio contro cui puntare il dito, come era già evidente a Manzoni. Nel 1755, non potendo trovare una spiegazione razionale del terribile terremoto di Lisbona, la vulgata del tempo si trovò concorde nell’affermare che dovesse trattarsi di una punizione divina. Voltaire nel Candido raccontò con ripugnanza degli atroci auto da fé messi in scena dall’Inquisizione in quella circostanza, per dare in pasto al volgo (e alle fiamme) un colpevole qualsiasi, un nemico a cui dare la colpa. Secondo la moda dell’epoca – il turbocapitalismo non era stato ancora inventato - streghe, atei e peccatori.

Voltaire e Manzoni, rispetto alla follia e alla superstizione dei tempi in cui vivevano, ci forniscono l’immagine di un élite intellettuale che contrastava il pregiudizio, piuttosto che farsene portavoce. Certo, Paolo Ferrero non è certo un gran modello di intellettuale, ma rientra tutto sommato in quella categoria di individui che raccontano un mondo in bianco e nero, senza alcuna sfumatura di grigio, in cui a vestire i panni dei buoni e dei cattivi sono sempre gli stessi, e agli ultimi va imputata, a prescindere da ogni evidenza, la responsabilità di ogni torto.

Il racconto del riscaldamento globale come esternalità negativa dell’economia di mercato è superstizione religiosa che si legittima poiché elevata al rango di ideologia, a cui in fondo – in quanto teoria ritenuta dai suoi sostenitori autoevidente e non falsificabile – il dato scientifico serve solo da corredo divulgativo. Si tratta del dogmatismo per eccellenza dei nostri giorni, munito di quell’arroganza che usa la scienza come strumento da usare con discrezionalità e disonestà intellettuale per legittimare un fine ideologico, piuttosto che come metodo per interpretare la realtà. In questo caso l’ecosocialismo (qualsiasi cosa voglia dire) è il fine, il turbocapitalismo (qualsiasi cosa voglia dire) è l’ostacolo, il riscaldamento globale è il cavolo a merenda.

Senza alcuna presunzione, a Paolo Ferrero e a quelli come lui ci sentiamo di consigliare Non è un cambio di stagione, magistrale racconto di Martín Caparrós – giornalista argentino di dichiarata ispirazione socialista – in cui si ricorda come già a fine ‘800 il New York Times dedicasse paginate intere al cambiamento climatico, semplicemente sulla base dell’aumento o della diminuzione della temperatura registrati nei tre o quattro anni precedenti. Tutto questo perché, come ci confessa Caparrós, “è così difficile vivere senza un’apocalisse all’orizzonte”. E senza un capro espiatorio, ci permettiamo di aggiungere noi.