logo editorialeNella XVI legislatura due importanti provvedimenti del governo Monti hanno affrontato - sia pure con perimetri, materie  ed ambiti diversi - l’area delle Forze Armate, della Polizia di Stato e dei Vigili del fuoco. Il primo di questi era contenuto in un comma della riforma delle pensioni del ministro Elsa Fornero, dove veniva affidata ad un successivo provvedimento (un regolamento sotto forma di Dpr) il compito di armonizzare le regole del pensionamento vigenti in queste categorie: regole che, da sempre, tengono conto delle caratteristiche delle funzioni svolte dai soggetti appartenenti, che richiedono attitudini psicofisiche adeguate alle condizioni particolarmente gravose di quelle attività.

La riforma Fornero aveva introdotto nuovi e più rigorosi criteri nei regimi ordinari che non erano estensibili meccanicamente a queste e ad altre categorie. Si trattava, pertanto, di prendersi il tempo occorrente per quell’impegno di "armonizzazione" che serve, in questi casi, allo scopo di conservare – riportandole all’interno dei nuovi assetti – quelle preesistenti differenze di trattamento,  prima che si trasformino in oggettive ed ingiustificate  situazioni di privilegio. Il concetto di "armonizzazione", infatti, denota un processo non di estensione o di equiparazione, ma di avvicinamento e di adeguamento, come a dire: se per tanti motivi (demografici, attinenti all’attesa di vita, economici, ecc.) l’età pensionabile deve essere innalzata, questo principio deve valere per tutti i lavoratori, sia pure con misure e modalità diverse che tengano conto delle specifiche condizioni in cui si svolge l’attività lavorativa.

Interessate all’armonizzazione non erano solo le categorie già citate, ma anche talune dello spettacolo (per esempio, i c.d. tersicorei, per ovvi motivi), dello sport  e i minatori. Il ministero del Lavoro volle rispettare i termini stabiliti (anche perché al compimento dell’armonizzazione erano collegati risparmi significativi); così cominciò a circolare la bozza di schema di decreto e iniziarono pure (come possiamo definirle ?) le ablazioni. Dapprima saltarono dal testo i minatori. Ma come – si disse all’unisono – Fornero vuole mandare in pensione più tardi i minatori ? In questi casi nessuno si chiede mai perché, pur essendo il lavoro in miniera uno dei peggiori al mondo, quelli che lo fanno non vogliono smettere, anche quando quel posto di lavoro diventa improduttivo e non sarebbe preclusa una diversa occupazione (il caso del Sulcis in Sardegna ne è la prova).

Ma l’attenzione si concentrò subito sui militari, le forze di polizia e i vigili del fuoco. Lo schema di decreto, predisposto dal Dicastero del Lavoro, subì d’acchito, a proposito di queste categorie, una grossa revisione già in Consiglio dei ministri (ricordo che uscì un testo ancora riservato che riportava delle vistose cancellature). Restava in piedi,  però, una sostanziale revisione dell’istituto cruciale della pensione anticipata (già di anzianità), che poi era al centro della riforma nel suo complesso. In sostanza, veniva prevista, oltre al requisito contributivo di 35 anni, una età minima di 58 anni, destinata a salire gradualmente e progressivamente.

Apriti cielo ! Benchè il testo fosse ancora riservato, in attesa del parere del Consiglio di Stato, al Senato fu votato un documento a difesa delle pensioni di queste benemerite (lo diciamo con convinzione) categorie. Dopo un’eclissi di mesi, la questione tornò all’ordine del giorno – dopo che il Consiglio di Stato aveva terminato il suo compito – nel bel mezzo della campagna elettorale, avendo il ministro Fornero chiesto la diramazione dello schema per acquisire il parere delle Commissioni parlamentari competenti. Ovviamente sia il governo che le forze politiche si guardarono bene dal creare preoccupazioni in centinaia di migliaia di famiglie a poche settimane dal voto. La cosa venne accantonata e rinviata alla nuova legislatura, dove non vi sono stati dubbi a stralciare completamente il capitolo militari, polizia e VVFF dall’armonizzazione, preservando loro le vecchie regole.

Chi scrive si era occupato del caso nella passata legislatura ed aveva avuto contatti informali con gli Alti Comandi riscontrando in loro più realismo e maggiori disponibilità di quelli presenti nel mondo politico. Uno degli argomenti, non infondati, esibito dai sostenitori dello status quoriguardava la concomitanza con l’approvazione della legge delega n. 244 del 2012 sulla revisione dello strumento militare in cui erano previsti, in un decennio, circa 150mila esuberi. Ma come ? – sostenevano – da un lato si prevede una forte riduzione di personale e dall’altro si aumenta in maniera rilevante l’età pensionabile ? Non a caso, infatti, una forma di prepensionamento degli esuberi era indicata tra i criteri per affrontare il problema, dopo aver sperimentato, ovviamente, altri metodi più "politicamente corretti", come la mobilità, il re-impiego presso altre amministrazioni e via mostrando il volto buono di questa operazione.

Al dunque, però, se il Parlamento non avrà un sussulto di dignità – cosa assai improbabile, nei tempi che corrono – è forte il rischio che la soluzione per gli esuberi sia un’altra: una messa fuori organico e ruoli, fino ad un decennio, con l’85% dello stipendio. In sostanza, dunque, in quest’area (i militari ‘’fanno da aggio’’ anche per le altre categorie), non solo rimangono in vigore le regole previgenti, ma si aggiunge ad un sistema pensionistico generoso, devastato dall’uso (e spesso anche dall’abuso) del calcolo retributivo anche la pratica dei prepensionamenti, ancorchè diversamente travestiti. E’ chiaro. Nessuno dubita che queste categorie abbiano diritto ad una attenta considerazione dei loro problemi, senza cedere alla retorica né alla demagogia. E la legge n.244 del 2012  è un provvedimento di ampio respiro, come pure, nel suo insieme) lo schema del dlgs n.33 del 2013 ora alla richiesta di parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti. Ma non sembra particolarmente innovativo  un governo che, quando si tratta di personale, si caratterizza per scappare a gambe levate davanti all’ipotesi di apportare alcuni ritocchi ai trattamenti pensionistici di queste categorie (vale anche per loro l’incremento dell’attesa di vita o no?), per stabilizzare i c.d. precari della pubblica amministrazione e per proporre uno scivolo decennale per i militari in esubero in conseguenza di un imponente piano di revisione dello ‘’strumento’’.  Non si era detto che le <larghe intese> dovevano servire a compiere le operazioni più difficili?

Giuliano Cazzola è responsabile nazionale dell’area welfare di Scelta civica per l’Italia